11 APR 2022 TIME EXPERIENCE COMMERCIAL 

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METROPOLI MEDITERRANEA - Teorie e piani dal 1990 al 2030

E’ possibile considerare, l’area del mediterraneo, ancora sede per un’opzione strategica geopolitica e culturale efficace, nel contesto globale generale?

Al di là delle emergenze oggettive che quest’area impone alla nostra attenzione (immigrazione, crisi ambientale, guerre, pandemia, crisi alimentare ed energetica, ecc.) è necessario capire come quest’area veniva considerata sino ad ora e cosa non ha funzionato sino ad ora? E’ una carenza politica e culturale? E’ una scarsa valutazione delle reali forze che agiscono sull’area? Quindi vale ancora prendere in considerazione questa opzione di carattere generale, il Mediterraneo? O ci troviamo di fronte ad una lenta dissolvenza del ruolo e peso geopolitico del mediterraneo nel contesto più generale delle trasformazioni in corso?

COS’ERA IL MEDITERRANEO SINO AD ORA?

A questo proposito faremo leva sui contributi alla discussione di un importante convegno tenutasi  il 7-8-9 Giugno del 1990, a cura dell’Amministrazione Provinciale di Napoli, presso il Teatro di Corte di Palazzo Reale- Piazza del Plebiscito a Napoli.

Cerchiamo capire come veniva considerato il Mediterraneo, qualche decennio addietro, le cui valutazioni hanno determinato l’attuale situazione.  Le premesse tematiche del convegno possono essere ricondotte a questi punti:

 

“…Nei prossimi anni più di un miliardo di persone si affaccerà sulle sponde del Mediterraneo e non ci si può trovare impreparati ad immaginare il destino della vita delle città, già piene di conflitti e contraddizioni. V'è un problema di natura urbanistica, ma anche di natura culturale, per far sì che le metropoli diventino il luogo d’incontro di culture diverse che siano, però, in grado di “parlarsi” di “comunicare” democraticamente e non conflittualmente. V'e un problema di natura politica, che attiene alle forme di governo adatte alla gestione di risorse produttive, umane culturali in “luoghi” che superano di gran lunga le dimensioni e gli aspetti della città tradizionale. ll quadro internazionale offre inoltre altri elementi da prendere in considerazione per giustificare la validità di una iniziativa di tal genere.

V'e da fare una riflessione in ordine ai problemi economici:

1) i grandi cambiamenti internazionali certamente hanno spostato l’attenzione e, diremmo, già l'iniziativa degli operatori economici e delle forze politiche verso il bacino orientale dell'Europa. Ciò non può che trovare ampi consensi e motivi di soddisfazione. Bisogna pur tuttavia adoperarsi perchè contemporaneamente l'area meridionale non venga vieppiù marginalizzata. La città di Napoli, in particolare, può svolgere la funzione che le compete di città “cerniera", di porta dell'Oriente verso l'Occidente e di porta dell'Occidente verso l'Oriente, come diceva Braudel, altrimenti corre il rischio di diventare sempre più periferia marginale. V'è inoltre una questione di carattere sociale e culturale che riguarda il problema dell'immigrazione.

2) Classe crescenti di popolazione di origine africana si spostano verso le città dell'Europa, facendo, tra l'altro, necessariamente scalo a Napoli. Bisogna superare sia la gretta logica razzista della repulsione, sia la logica, alla lunga perdente e sbagliata, del puro assistenzialismo. ll problema va impostato e risolto democraticamente:

a) attraverso una disciplina legale dei flussi immigratori, nel rispetto delle diverse culture che si affacciano verso le città europee;

b) affrontando per tempo e con competenza le questioni legate alle ripercussioni di tale fenomeno sul mercato del lavoro, sul rapporto nord-sud;

c) attraverso un rafforzamento dell' "identità", per cosi dire, delle città  ospitanti, dove siano chiaramente riconoscibili, ad esempio, i luoghi deputati allo svolgimento delle manifestazioni culturali, delle iniziative giovanili, della vita sociale. La recente legge 39 del 28/2/90 sull’immigrazione dei cittadini extracomunitari fornisce un quadro normativo per iniziare ad affrontare tali questioni.

3) Una terza dimensione riguarda il problema del governo delle aree metropolitane. S’impone una ridefinizione delle “regole della politica". ln tal senso la Provincia di Napoli, nell'organizzare un tale convegno, s’interroga costruttivamente, con il contributo critico di quanti vi parteciperanno, sul suo ruolo istituzionale, che prevede appunto il governo di un'area sovracittadina. É del resto questo un problema che interessa non soltanto le città che si affacciano sul mediterraneo, ma anche quelle situate nel cuore dell'Europa. È per questo motivo che il Convegno prevede la partecipazione dei Ministri degli Esteri e della Cultura di importanti nazioni europee, la partecipazione dei Sindaci delle principali città mediterranee, delle Istituzioni culturali, delle Università, degli Istituti di Ricerca presenti in Europa e nel bacino del Mediterraneo. Napoli s'impone come sede ideale per un tale incontro e confronto, un vero “topos" mediterraneo, con le sue caratteristiche culturali, con le sue ricchissime contraddizioni che ne fanno Lo stesso dibattito che si svolge tra le forze culturali e politiche sul suo destino di trasformazione e rinnovamento, ne fanno una città capace di mettersi all'ascoIto della Koine' mediterranea e capace di prospettare soluzioni e proposte, secondo l'idea guida che “solo una forte ritrovata identità spaziale e culturale", può garantire la coesistenza e lo sviluppo di culture diverse...” a cura della segreteria scientifica Giugno 1990. 

Ecco, sembra evidente che il focus principale fosse legato, proprio a partire dalla scelta di considerare le città che affacciano sul mare mediterraneo, come riferimenti, soggetti, luoghi fondanti una nuova strategia di sviluppo dell’intera area, intesa come “Parco Planetario”, che doveva relazionarsi con i diversi blocchi geopolitici ed economici nel mondo, quindi come un’unica Metropoli, al cui interno memoria, tradizioni, conflitti, potenzialità socio-economiche potevano assumersi all’interno di una strategia unitaria.  Quindi  considerare una politica euro-mediterranea,  da privilegiare per mettere in atto queste intenzioni. C’è da dire che a quel tempo (1990), siamo ancora lontani dalle scelte riguardanti la politica europea. Non c’era ancora lo sviluppo maturo di internet. Le forme di  globalizzazione erano riferibili a relazioni spazio-temporali ancora  percepibili  al’interno di un quadro immaginario e circoscrivibile sul piano geografico territoriale, comprendente confini, i limiti della stessa area geografica; manca completamente l’avvento del digitale, che insieme alla crollo delle due Torri Gemelle di New York possono essere considerati, il vero salto epocale.

 

Ma cerchiamo d’inquadrare bene le soglie problematiche entro cui si collocava il convegno del 1990.

Partiamo dalla presentazione del Prof. Roberto Esposito: “…  Nell'ambito di un convegno concepito sulla "metropoli mediterranea" e fondamentale riflettere sulla filosofia della città. É in questa direzione che ritengo di poter dare qualche contributo al Convegno: pur tenendo conto del necessario livello di mediazione tra apertura teorica ed elaborazione di progetti operativi.

1) in questo senso - quello di una filosofia, non di una storia e nemmeno di una sociologia, della città- la prima operazione da fare è un lavoro di confronto e di distinzione, per non dire più nettamente di opposizione, rispetto ad altre filosofie della città  oggi circolanti in Italia in particolare nella cultura della sinistra. Soprattutto a due filosofie in apparente contrasto tra loro, ma in realtà rese complementari da un comune rifiuto della dimensione politica come ambito determinato di intervento nella polis e anche nella  metropolis.

2) La prima di queste filosofie è quella dell'apologia della città postmoderna in quanto luogo di dispiegamento della liberta individuale e di libero accesso ai consumi di massa. Secondo tale filosofia -interpretata oggi nel modo più sistematico da Gianni Vattimo – la caduta dei luoghi classici e conflittuali della città moderna aprirebbe un varco ad una nuova e positiva indeterminatezza, all’irregolarità e alla fantasia di un individuo indipendente e perciò libero di scegliere tra i vari flussi culturali come tra i vari canali di una televisione. È  chiaro che l'esito di una tale filosofia - su cui qui non mi dilungo - è la fine di ogni politica della città: in quanto tale inutile e dannosa rispetto lo spontaneo funzionamento selettivo e riproduttivo della macchina urbana postmo-derna. Non solo i'idea di 'piano', ma anche quella di “progetto” in quanto idea tipicamente “moderna” è esclusa a priori da uno scenario che troverebbe appunto nell’assenza di piano, nella contaminazione tra le scelte - che non sono più scelte, ma semplici risposte a stimoli contingenti  più disparate la propria produttività “liberatoria”.

3) È facile opporre a tale ottimistica filosofia la drammatica realtà degli attuali scenari metropolitani: da  New York a Napoli, in libera discesa. Non solo quella che si autorappresenta come libertà di scelta culturale - autonomia dai grandi “racconti” dell’antica città moderna - è impossibilità di scelta reale, colonizzazione culturale a potenti luoghi comuni, subalternità ad una omologazione indifferente, perdita e non acquisto di differenza. Ma essa richiama non già un arricchimento ed una proliferazione, ma un depotenziamento dell'esperienza, una povertà di vita ed un anonimato che non hanno avuto mai luogo in una forma cosi estesa e massificata come nelle grandi metropoli postmoderne.

4) A questa prima filosofia della città metropolitana se ne contrappone un'altra, diversa fin nell’opposizione speculare, ma proprio perciò complementare e simmetrica ad essa'. Quanto la prima e ottimistica e aggressiva, tanto la seconda e pessimistica e passiva. Basta leggere l'ultimo numero della rivista Democrazia e Diritto, appunto dedicato alla città, per farsene un’idea. La citta metropolitana e vista come luogo della fine della dimensione comunitaria, della forma unitaria e centrata della polis classica: e perciò stesso luogo dell'apocalisse tardo-borghese, della diabolica frammentazione dell'esperienza. In essa ormai tutto è perduto: centro, confini, conflitto. Tutto è giocato in una condizione iperreale che disperde qualsiasi speranza di ricomposizione, qualsiasi tentativo di restauro, qualsiasi finalità generale. Anche a livello linguistico: la fine della comunità e insieme innanzitutto fine della comunicazione; e perciò fine della democrazia come terreno unitario di decisioni prese in comune.

5) Anche in questo caso il risultato di simile analisi  va nel senso della fine del progetto, della fine dell’impegno politico in questa città perduta: quel che resta è la prefigurazione impossibile di un'altra città come l'unica politicamente gestibile, l'unica ancora potenzialmente politica. Qui l’espulsione del piano non nasce, come nella precedente filosofia, dalla scelta per la spontaneità e per il caso forniti in quanto tali di un intrinseco valore liberatorio, ma dalla sua inadeguatezza ad un mondo cittadino non più politicamente identificabile, irreversibilmente depoliticizzato, strappato alla dimensione della polis. Ad una metropolis senza polis, senza politica e perciò alienata, sottratta a se stessa. Un'alienazione non modificabile ne agibile, ma soltanto rovesciabile nel suo opposto: in nuova impossibile ricomposizione.

 

6) Quello che va discusso - e da qui si può ripartire per una nuova filosofia della città, filosofia politica della città - è proprio questa idea, il non senso filosofico, di una città "alienata". La città nella sua dimensione politica, e di per sè alienata, alienante, sottratta ad ogni cifra di “autenticità” - il politico e l'ambito dell’inautentico e a tale ambito necessariamente legato pena lo scivolamento nelle mitologie e

nelle teologie politiche di cui ci stiamo appena liberando. Di per sè sottratta a se stessa al modello archetipico di polis concorde. Il suo cuore e da sempre spaccato in mille frammenti, e da sempre dia-bolico, abitato dal diavolo della differenza e del conflitto. La polis è da sempre civitas: e civitas umana, dell'uomo, contrapposta alla civitas dei, alla polis divina, alla polis come dono del dio, proprio perche necessariamente percossa da insanabili conflitti di interessi, spartita da poteri irriducibili avversi e concorrenti.

È da partire da questo disincantato (né ottimistico, né pessimistico) presupposto - il carattere necessariamente “alienato” scisso, contraddittorio, della politica e il carattere necessariamente politico della città - che va rimesso in moto un nuovo ragionamento filosofico - politico sulla città metropolitana che riconverta quello che è stato il grande Progetto Moderno alle forme assolutamente nuove ma anche necessariamente ricorrenti della città contemporanea…”

Ecco allora ciò che veniva messo in gioco, nel momento in cui si parlava di Mediterraneo e di “città mediterranea”, innanzitutto la sua dimensione “politica”, attraverso cui si esplicita l’essenza del progetto moderno e della città contemporanea. Si lasciano alle spalle  regressioni culturali, centralità storiche ed etniche, per porsi all’altezza di una dimensione globale, sul senso di cosa può significare ancora nel 1990, democrazia, libertà, progetto moderno ecc. nel cuore di una città mediterranea. In questo modo si mette in gioco ed a verifica il significato di Polis e Civitas, due categorie culturali che hanno rappresentato e condizionato profondamente la nascita della Civiltà Occidentale. Quindi è ancora all’interno di questa storia che va ritrovato il filo rosso, nel luogo in cui necessariamente percossa da insanabili conflitti di interessi, spartita da poteri irriducibili avversi e concorrenti. La Metropoli Mediterranea come spazio concluso e circoscritto per rimettere in gioco prassi ereditate dal tempo e farne di questa prassi politica modello di gestione urbana diffusa.

Andiamo oltre, con la presentazione del Prof.Alberto Abruzzese.

“…Esiste una sociologia urbana vincolata alle "mappe fisiche" del territorio, alla composizione sociale di chi vi abita o transita, ai modelli di organizzazione, alle forme di produzione e consumo, etc.; esiste anche una sociologia urbana che ha preso ad analizzare le “mappe mentali" del territorio privilegiando le rappresentazioni simboliche, la memoria, le strategie comunicative. Esistono poi una serie di sociologie settoriali che si riferiscono ai media e che spesso, tanto quanto le sociologie funzionaliste, dimenticano il vissuto territoriale su cui l'evento comunicativo ha le sue radici.

Cercherò, quindi, di ragionare sugli aspetti comunicativi della metropoli nel contesto delle culture del mediterraneo, avendo in mente innanzi tutto gli scenari dell'innovazione tecnologica, come risposta "possibile" alle crisi di sviluppo dei linguaggi espressivi direttamente o indirettamente legati all'esperienza metropolitana, e in secondo luogo la specificazione di "citta mediterranea".

Questa specificazione e tuttavia ancora tutta da discutere: le “relazioni” di tipo mediterraneo sono sulla base della consistenza dei "centri storici" e delle "risorse naturali" e dunque di una "particolare" dimensione del rapporto tra Antico e Moderno? Oppure sulla base di una rete di rapporti "tradizionali" su cui innestare un nuovo tessuto di sinergie economiche politiche e culturali e dunque affrontare le "differenze" tra diversi gradi e modelli di sviluppo come elemento "qualitativo" del "progetto", forse anche come "laboratori" che fruttino indicazioni produttive su conflitti più generali, comunque presenti al di là dei confini geografici? Oppure sulla base della contiguità o vicinanza al mare mediterraneo e dunque della possibile ridefinizione di un bacino comunicativo, creativo e produttivo, in grado di funzionare come sistema integrato di circuiti culturali, turistici, ambientali, come “parco” del pianeta?

Ma molte tra queste caratterizzazioni del contesto mediterraneo e delle sue "dinamiche" o "potenzialità", una volta che vengano osservate alla luce dei processi culturali effettivamente in atto, non combaciano a fronte dei processi di internazionalizzazione, di subordinazione, di qualità dei media e dell'immaginario che spesso hanno “violentato” le realtà  e le tradizioni locali. Ecco perché e necessario definire prima la qualità delle innovazioni tecnologiche dal momento che l’immagine ed il vissuto delle città sono ormai profondamente legati alle “sostanze” veicolate dai media e sono alla base delle diverse filosofie che presiedono alle politiche e strategie professionali in campo metropolitano.

 

Demetropolitanizzazione, crisi di funzioni, di sistema (caduta delle politiche di piano e delle culture di “progetto"), ma anche emergenza spontanea di sistemi embrionali imperfetti, di segmenti forti, a cui corrisponde una dinamica centrifuga delle centrali di comunicazione e di produzione dell’immaginario che attualmente si esprime prevalentemente come indebolimento o perversione delle reti tradizionali di memorizzazione, informazione, intrattenimento, spettacolo, arredamento urbano, servizi culturali.

 

Concordo con chi sostiene che la posizione “apocalittica" espressa dalla sinistra storica non dimostra di cogliere nessuno o quasi dei fattori che hanno “qualificato” il costituirsi di una cultura metropolitana, rinvenendo tutta - via i limiti di un pensiero antistorico, postmo-derno, "debole", che enfatizza l'“uscita" dalle contraddizioni classiche senza ritenere di doversi affidare comunque ad un modello di sviluppo politicamente determinato. ll “giusto mezzo" è individuabile nella virtualità dell'innovazione elettronica; nelle possibilità materiali che abbiamo per intervenire sui punti di “rottura” della tradizione industriale e di massa, cioè  proprio della cultura metropolitana giunta all'apice delle sue funzioni storiche e dunque “irrisolvibile a partire da se stessa", nell'emergenza di nuovi fenomeni, di nuove esperienze, che aprono nuove dinamiche tra conflitti sociali e apparati di potere.

 

Già sarebbe molto trasformare le mentalità. Rendere più adeguate le professionalità, più aperti gli strumenti di governo in cui competenze e potere amministrativo devono trovare un “accordo”. Bisogna imparare a leggere i processi in atto, valorizzarli.

Diventare capaci di “catastrofe” per evitare il “disastro" (Cacciari). Operare in una chiave progettuale che deve sapere conciliare la dimensione localistica con quella metaterritoriale, cioè "essere dentro" alla “divaricazione" che oggi e alla radice della crisi sia delle “mappe fisiche" che di quelle “mentali” e dunque anche delle forme culturali metropolitane, per quanto attiene i consumi e ancor più per quanto attiene la produzione.

Questo Convegno può essere l’occasione per compiere uno sforzo non solo d’immaginazione - i convegni servono anche a questo, ma di solito vengono seguiti dalla frustrazione di vedere cadere nelle routines politiche e culturali ogni attesa di “superamento” del presente, di verifica operativa, di mobilitazione organizzativa, di azione professionale, imprenditoriale, istituzionale, politica - ma anche per uscire dall’astratto o dalla petizione di “principi” che “chi deve e può" lascia nel limbo dei buoni propositi o "risolve" in una “politica spettacolo" fine a se stessa.

Napoli è una realtà estremamente complessa e tuttavia rappresenta un segmento della complessità mediterranea particolarmente adatto a fornire dinamiche progettuali a patto che siano sostenute da volontà politiche e risorse economiche convinte del proprio ruolo e del proprio dovere.

 Proviamo sulla esemplificazione di alcune "particolarità" del territorio metropolitano napoletano, a formulare non il “progetto” ma i modi e le strutture che potrebbero portare al lavoro necessario alla nascita di una cultura progettuale dal momento che essa si alimenta di cose che già si fanno e non di cose che si "potrebbero" o “dovrebbero” fare. Progettare significa sperimentare e non semplicemente "proiettare" idealmente o ingenuamente “sperare”.

Napoli e uno dei più grandi bacini di beni storici e culturali, e una delle più importanti “capitali” del Meridione, e un porto in crisi ma comunque inserito in una rete commerciale e turistica, e centro di ricerca e formazione scientifica, e sede di un Centro Rai, e calata in una realtà etnicamente sempre più complessa per quanto costretta alla “marginalità”, e luogo di conflitto tra civiltà industriali e civiltà postindustriali. Per la definizione di un sistema culturale fondato sulle risorse dell'immaginario mediterraneo e delle innovazioni espressive, si tratta di individuare i soggetti necessari alla costituzione di una commissione di lavoro a breve`termine, incaricata di fondare i criteri ed i valori atti alla creazione di una o più strutture permanenti quali ad esempio un Consorzio Internazionale di soggetti pubblici e privati rappresentativi di tutti i segmenti mediterranei operanti nel campo della comunicazione televisiva, della sperimentazione elettronica, della produzione di home video, dell'educazione permanente, nel quadro di una ipotesi di potenziamento e diversificazione del Centro Rai di Napoli come postazione avanzata e centrale del sistema mediologico mediterraneo…”.

Ecco pur considerando la “città mediterranea”, luogo  e fonte di complessi processi  politici e culturali,  essa deve fare i conti con il nuovo scenario costituito dall'innovazione elettronica, nelle possibilità materiali che abbiamo per intervenire sui punti di “rottura” della tradizione industriale e di massa, cioè  proprio della cultura metropolitana, giunta all'apice delle sue funzioni storiche e dunque “irrisolvibile a partire da se stessa", nell'emergenza di nuovi fenomeni, di nuove esperienze, che aprono nuove dinamiche tra conflitti sociali ed apparati di potere, non si possono avallare delle facili scorciatoie, supportate da un pensiero debole “post-moderno”, ma è necessario trasformare le mentalità, formare nuove professionalità, valorizzare tutti processi in atto e supportarli attraverso l’innovazione tecnologica ed una diffusa cultura progettuale tecnico-amministrativa.

 

Su quali elementi settoriali è opportuno coinvolgere questa riorganizzazione urbana? Ci viene incontro l’informativa del Prof. Mariano D’Antonio, il quale ci dice che:

“…Le economie dell'area mediterranea (tra cui si colloca anche il Mezzogiorno d'ltalia) attraversano una fase delicata di assestamento, si trovano a fare l conti con dati nuovi e tendenze internazionali impreviste, sono soggette ad un drastico riorientamento di prospettive nel loro rapporto con l'Europa più ricca e industrializzata.

Fino a pochi anni fa il Mediterraneo si trovava a fare i conti con tentativi dei Paesi europei di rianimare l'economia del Vecchio Continente mediante una nuova ondata di concorrenza, di efficienza, di riorganizzazione delle forze produttive. Questo tentativo puntava a superare la cosiddetta eurosclerosi cioè il ristagno economico, la disoccupazione di massa, la ridotta capacità d'innovazione - mediante il riordino e il rilancio della competizione, l’unificazione dei mercati, la libertà di stabilimento delle imprese nello spazio economico comunitario. In questo disegno, che e ancora rimasto formalmente in piedi e che prevede la costruzione del Mercato unico europeo per Tappe, da qui al 1993, il posto dell'Europa mediterranea era quello proprio di Paesi ancora in via di sviluppo, alcuni dei quali, come accaduto alla Spagna, alla Grecia ed al Portogallo, venivano via via associati alla Comunità Europea. Altri Paesi del bacino mediterraneo, come i Paesi africani, erano invece considerati come possibile soggetti di collaborazione economica con l'Europa ricca e perciò destinatari di aiuti allo sviluppo e di progetti d'investimento.

L'idea che è prevalsa negli anni '80, circa il rapporto tra l'Europa stessa e i Paesi dell'Africa rivierasca, e stata l’idea dei cerchi concentrici: il cuore forte dell'Europa pulsava al ritmo delle economie di Germania, Belgio, Francia, Olanda e (in parte) dell'ltalia  Settentrionale -questo era il primo cerchio, il nucleo solido della potenza europea. il secondo cerchio poteva essere rappresentato dall'economie dei Paesi europei mediterranei come Spagna, Grecia, Portogallo e Italia meridionale: in queste aree si poteva prevedere una dislocazione di nuovi investimenti, un ritmo di sviluppo più veloce, una più rapida accumulazione del capitale, anche perché si trattava di Paesi o regioni con buona disponibilità  di manodopera, con discrete infrastrutture, beneficiari di aiuti e sovvenzioni pubblici. 

Il terzo cerchio era costituito infine dal Paesi mediterranei esterni alla CEE, verso i quali si poteva indirizzare l'aiuto allo sviluppo e in cui si potevano stabilire imprese attirate eventualmente dal salari piu bassi e dalle prospettive di vendita su mercati cosiddetti vergini. Questa strategia dei rapporti tra CEE e area mediterranea è stata ora intaccata se non sovvertita dai recenti avvenimenti nei Paesi dell'Est europeo: le prospettive di unificazione (magari in forma federata) delle due Germanie, la crisi politica dei regimi comunisti, la volontà dichiarata dei Paesi del cosiddetto socialismo reale di avviare profonde riforme economiche al loro interno orientando l'attività economica verso il mercato, creeranno nell'Europa centrale un'area di alta concentrazione di capitali e di iniziative imprenditoriali. La possibile conseguenza di tutto ciò, è un impulso all’emarginazine dell'Europa periferica e di tutta l'area mediterranea. La spinta ad investire risorse e ad impegnare capacità  imprenditoriali nei Paesi dell'Est europeo e una spinta assai forte: in questi Paesi i salari reali sono bassi, i mercati dei beni di consumo durevoli sono potenzialmente molto ricchi, gli apparati burocratici sono ancora forti e capaci di contrattare investimenti esteri.

Un'altra prospettiva in cui si colloca l'area mediterranea, e costituita dai movimenti di popolazione all'interno di ciascun Paese e dalle emigrazioni tra Paese e Paese. ll primo fenomeno e all'origine dell'urbanesimo e dell'ingrossamento della popolazione urbana che viene per lo più impegnata in attivita terziaria. ll secondo fenomeno tocca ormai anche l'ltalia, che è diventato un Paese di immigrazione netta specie dall'Africa. I movimenti di popolazione interni e internazionali vanno compresi soprattutto per le loro conseguenze.

ll tentativo che andrebbe fatto, e di tracciare in primo luogo tipologie possibili di urbanizzazione, di rapporto tra la città e la campagna, di ruolo economico che vengono ad assumere le città nei diversi Paesi mediterranei. Qui l'attenzione andrebbe portata su alcune città che si assumono come modello di riferimento, tanto nell'Europa mediterranea quanto nei Paesi africani rivieraschi. ll quesito preliminare che andrebbe sciolto, e naturalmente se sia possibile questa tipologia, una varietà di modelli di urbanizzazioni riferite anche alla forma economica assunta dalle città.

 

ln secondo luogo, si tratta di considerare gli effetti delle migrazioni internazionali, specie di quelle che interessano l'ltalia, rispondendo a quesiti come: quali conseguenze si hanno sul mercato del lavoro dei Paesi d'arrivo; quali novità intervengono nei rapporti tra Centro-Nord e Mezzogiorno d'ltalia a seguito delle immigrazioni dal Terzo Mondo; si può affermare che l'afflusso di manodopera straniera nell’talia centro-settentrionale bloccherà il decentramento di imprese verso l'area meridionale?

I temi su accennati, possono essere oggetto di una sessione di lavoro della Conferenza sulle città mediterranee organizzata dall'Amministrazione Provinciale di Napoli. In questa sessione si tratterebbero perciò  tre gruppi di questioni:

  1. il posto dell'area mediterranea nei megatrends che caratterizzano l'economia internazionale - in particolare l’unificazione dei mercati europei e il rapporto tra Ovest ed Est;
  2.  tipologie di città mediterranee, secondo il ruolo economico della formazione urbana, il rapporto con la campagna, le localizzazioni industriali, l’attivazione di una rete di servizi;
  3. le migrazioni internazionali nell'ambito del Mediterraneo, gli effetti sui mercati del lavoro, le conseguenze sul rapporto tra Centro-Nord e Mezzogiorno d'ltalia.

Da questo documento molta acqua è passata sotto ai ponti: abbiamo avuto l'avvento dell'euro, l'attentato alle Torri Gemelle di New York, le crisi finanziarie del 2007 e 2011, la pandemia, la guerra in Ucraina e tanto altro.  

Cos'è cambiato? 

Bisogna riattraversare criticamente alcuni documenti, espressione di un pensiero strategico progettuale ben definito: 

Sintesi del Rapporto SVIMEZ 2021 – SVIMEZ