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Milano-Un futuro smart / Andrea Nicoletti (da The Good Life Cities)

Milano-Un futuro smart

Il capoluogo lombardo, la città più smart d’Italia, ha lanciato la sua sfida al futuro. Tra riqualificazioni, coworking, nuovi quartieri e trasporti intelligenti, ecco come sta cambiando e perché.

di Andrea Nicoletti (da The Good Life Cities - Febbraio 26th, 2018)

 

Per capire che Milano è davvero intelligente dovete mettervi sotto un lampione e alzare il naso. Anche di giorno, perché quello non è un palo della luce come tutti gli altri: è una centralina meteo, controlla l’inquinamento dell’aria, sorveglia la strada con una telecamera. E se vi serve un collegamento a Internet, bene: ci siete proprio sotto.

Siamo in zona di Porta Romana, primo esperimento italiano di quartiere smart a spreco zero di energia. Qui di lampioni intelligenti ce ne sono 300, oltre a 60 veicoli a disposizione dei residenti per il car sharing elettrico, due auto per quello condominiale, 150 e-bike con 76 punti di ricarica elettrica. E per il trasporto merci, 10 veicoli commerciali condivisi. Elettrici, naturalmente. «Il lampione intelligente abilita nuovi servizi, è un supporto per la manifattura digitale e apre nuovi modelli di business per FabLab e makers» profetizza Piero Pelizzaro, project manager del progetto Sharing Cities. Ecco, siamo partiti da un palo della luce e cominciamo già a.. vederci più chiaro sul futuro. Che non poteva che passare da qui. Del resto Milano, oltre che essere la città più smart d’Italia, è prima per crescita economica e mobilità sostenibile, ricerca, innovazione e trasformazione digitale. Lo dicono i numeri di iCity Rate, la classifica delle città più vicine ai bisogni dei cittadini, più inclusive e vivibili (anche se nella classifica della vivibilità di Legambiente a fine 2017 ha perso una posizione). In questa classifica Milano è al primo posto nel 20% degli indicatori, per esempio per diffusione della banda ultralarga e del coworking, per dotazione di veicoli in sharing, sia automobili (ne circolano 351) che biciclette, 4 650 in tutto, quasi 4 disponibili ogni 1 000 abitanti.

Per gli italiani con una start-up in testa è il posto dove giusto: se hai un’idea, la puoi realizzare perché non ti chiedono chi sei o da dove arrivi, ma che cosa sai fare. Il valore di una persona da queste parti si trasforma in valore aggiunto che sa produrre. E qui viaggiamo sui 46 000 euro pro capite, il doppio della media italiana, e per ogni 100 milanesi che incontrate ci sono ci sono 13 imprese attive. È dunque una città capace di anticipare il futuro e di valorizzare il capitale umano, ma anche di creare connessioni tra i giovani. L’età media della popolazione è infatti di 43,6 anni (51 in Italia), e scenderà fino a 41,7 anni nel 2030, grazie soprattutto al contributo degli immigrati, che sono il 20% dei residenti.

Ma Milano piace anche agli stranieri: è sempre en vogue, scrivono i giornali londinesi attenti a moda e lifestyle, the place to be per il New York Times che tiene d’occhio soprattutto business, design, arte contemporanea. Milano è prima in Italia (e al nono posto mondiale) per la sua reputazione complessiva: lo dicono gli esperti del Reputation Institute di Boston, non i meneghini. «Milano è cresciuta per attrattiva, business e per le politiche pubbliche e ambientali avanzate» spiega il country manager dell’istituto di ricerca americano. Un primo posto che arriva da lontano, dallo skyline pianificato negli Anni 90, dall’Expo conquistata dal sindaco Letizia Moratti, dal progetto di città metropolitana portato avanti da Giuliano Pisapia. Arriva da lontano anche la rincorsa verso il futuro: Milano è ufficialmente digitale dal 1997, quando vi è nata la prima rete in fibra ottica in Italia ed era la città più cablata d’Europa. Altri record? Il primo elaboratore elettronico ad entrare in funzione sul territorio italiano fu acceso al Politecnico, nel 1954: lo acquistò dalla californiana Crc il Centro di calcolo dell’università, con circa 120 000 dollari attinti dal Piano Marshall. Dieci anni dopo, nel 1964, l’Olivetti lanciò qui la prima fiera delle macchine per ufficio, lo Smau, punto di riferimento per il settore dell’automazione elettronica. Ed è milanesissima anche un’altra svolta storica destinata a cambiare la vita di tutti i giorni: la telefonia mobile. A cavallo tra gli Anni 80 e 90, sull’asse Milano-Ivrea-Torino furono messe a punto le tecnologie dei telefoni cellulari e Olivetti partorì Omnitel. Quando nel 2000 lo Stato italiano mise all’asta  cinque licenze Umts, all’epoca la più avanzata e veloce tecnologia di trasmissione, parteciparono con 15 miliardi ciascuno anche due operatori milanesi: Andala, fondata a Milano da Renato Soru (poi diventata 3), e Ipse, creata sempre a Milano da e.Biscom con Pirelli e Aem. Non è uno slogan: Milano è smart da sempre. Ma lo sarà anche in futuro?

”Less” Amica degli startupper

Se Milano ha anticipato il futuro ieri, è molto probabile che continui a farlo oggi. Specie se si considera che il 15% delle start-up innovative Italiane sono qui: la sola provincia di Milano ne conta 1 040, più di Roma, Torino, Napoli e Bologna messe insieme. Si tratta di giovani intraprendenti con una buona idea in testa e il coraggio di provarci. Che cosa fanno? Principalmente producono software e offrono consulenza informatica (30,41%), si occupano di ricerca e sviluppo (14,37%), oppure sono makers, costruiscono computer o inventano macchinari ad alta tecnologia (19,45%). Ne giova anche il sistema moda-design, che a Milano ha fatto la storia ma non sempre ha saputo stare al passo con i tempi.

La Milano dell’innovazione invece non si ferma mai proprio perché sa adattarsi. In poche ore uno startupper può trovare un ufficio condiviso e cominciare a lavorare sulla sua idea. Il capoluogo lombardo è la capitale del coworking: ambienti moderni, iperconnessi e tecnologicamente avanzati. Entri, scegli una scrivania oppure una stanza, attacchi il computer e via: l’ufficio in condivisione è aperto 24 ore su 24. Le aree di coworking più grandi, come Talent Garden, offrono fino a 400 postazioni. Ed è questo il bello, respirare le idee nuove, fare networking, stare dove le cose succedono prima che altrove. È così che i nuovi imprenditori lavorano a Milano, incentivando lo smart working anche nelle grandi aziende. Per capirlo basta andare in piazza Gae Aulenti e guardarsi intorno: qui, fra i grattacieli di Porta Nuova, le ex Varesine e l’edificio di Herzog & De Meuron con la sede della Fondazione Feltrinelli, si concentrano i più numerosi spazi di coworking, gli acceleratori, i centri di innovazione e le sedi dei big dell’hi-tech, da Amazon a Microsoft. È il primo digital district italiano.

A Milano si lavora, si dice, ed è vero anche in tempo di crisi. Le imprese dell’area metropolitana, nell’ultimo trimestre del 2017, hanno espresso una domanda di quasi centomila ingressi. Nella città più digital e smart d’Italia, nella capitale europea delle startup tecnologiche, alla fine trovano lavoro tutti. Anzi: camerieri, cuochi o commessi più dei medici o biologi laureati, secondo i dati di Unioncamere. Ma non è escluso che il cameriere possa aprire il suo locale e fare concorrenza a Cracco: se c’è un posto dove può accadere, è a Milano. Sotto la superficie patinata del mondo digitale, Milano ha persino ancora le sue tute blu: a fine 2017, contando tutti i settori, le aziende ne hanno assunti più di 18 000. La realtà metropolitana non è dunque composta soltanto da manager, stilisti, designer e broker: su 3,3 milioni di abitanti, più di mezzo milione non è andato oltre la scuola dell’obbligo, altrettanti si sono fermati alle superiori e si contano qualcosa come 7 000 analfabeti in età lavorativa. Però quando il lavoro arriva, si guadagna bene: secondo il Job Pricing Geography Index, l’indicatore in base al quale viene stilata la classifica delle retribuzioni medie nelle province italiane, il primato è saldamente in mano al capoluogo lombardo con 34 414 euro l’anno. Se non ci saranno grossi scossoni, sarà così anche nella Milano del futuro.

La città che sale

Se il lavoro sta cambiando, lo skyline di Milano è già mutato. Specie negli ultimi quattro anni, con CityLife, l’ex fiera cittadiba ridisegnata dalle archistar Arata Isozaki, Daniel Libeskind e Zaha Hadidm e con la zona di Porta Nuova, dove continbua a svilupparsi il complesso – dal 2015 proprietà del fondo sovrano del Quatar, va detto – di oltre 20 edifici iconici, come la Torre Unicredit di César Pelli, la più alta d’Italia, e il Bosco Verticale di Stefano Boeri, premiato nel 2015 come “grattacielo più bello e innovativo del mondo”. È la città che sale, avrebbe detto il futurista Umberto Boccioni, milanese d’adozione. «La reputazione che Milano ha oggi nel mondo è una straordinaria piattaforma di sviluppo non soltanto per far crescere la città» spiega a The Good Life l’Assessore alla Cultura Filippo Del Corno. «Può anche aiutare a far crescere l’intero Paese, ma bisogna che questo avvenga a un’unica velocità e riesca a coinvolgere tutte le classi sociali e tutte le componenti culturali della città». È questa la vera sfida per il futuro: una città inclusiva, a impatto zero e davvero green, non solo a parole.

Tra chi sta progettando questa Milano futura c’è Stefano Boeri. «Immaginate sette parchi, oasi e giardini, collegati da un corridoio verde che parte dall’area dell’Expo, entra in città dalla Bovisa, si allarga agli scali ferroviari oggi abbandonati e dismessi». L’archietto del Bosco Verticale descrive così il suo Fiume Verde, un sistema di parchi, boschi, oasi, frutteti e giardini pubblici collegati da una nuova linea metropolitana, corridoi verdi e piste ciclabili sviluppati lungo i binari e con tre torri metropolitane verdi. «Attorno ai parchi si può edificare, ma il verde deve essere protagonista, in un sistema unico ad anello che nessuna città al mondo possiede, un regalo per il futuro di Milano». E ai bordi dei parchi ecco le residenze, con spazi culturali e commerciali e social housing.

Altri invece immaginano una Milano del futuro meno spettacolare, più come una “Città delle connessioni”: è il progetto di Mad Architects per una mobilità sostenibile, con piste ciclabili, percorsi cittadini, filari alberati e aree a traffico limitato. Gli scali ferroviari dismessi potrebbero diventare hub intermodali 4.0, dove si incontrano tutti mezzi di trasporto green ed elettrici (è l’idea dello studio Mecanoo), eliminando le automobili e liberando così tutti gli spazi, milioni di metri quadrati, oggi occupati dai parcheggi. Ma che cosa sono questi famosi scali di cui tanto? Eccoli: Farini, dove sorgerà il terzo parco più grande della città; Porta Romana, lo “scalo dell’arte contemporanea” nell’area già valorizzata dalla spettacolare Fondazione Prada di Rem Koolhaas; Porta Genova, il nuovo polo della moda e del design; San Cristoforo riconvertito in un’oasi naturalistica urbana, Greco e Lambrate con le nuove residenze universitarie e infine Rogoredo. Tradotto in linguaggio catastale, sono 675 000 quadrati da ripensare e costruire: i concorsi per definire il masterplan stanno partendo ora, mentre state leggendo.

A caccia di investimenti

Nei prossimi dieci anni a Milano sono previsti interventi su 15 milioni di metri cubi. «Siamo di fronte a uno sviluppo senza precedenti», dice il presidente di Assimpredil Ance, Marco Dettori. Oltre agli scali ferroviari saranno interessati i quartieri di Cascina Merlata, Città Studi, la Città della Salute nell’ex area Falck (a Sesto San Giovanni, la storica Stalingrado d’Italia a nord di Milano), l’Ortomercato, Arexpo a Rho-Pero, l’articolato Progetto Periferie, il nuovo polo Eni a San Donato (Milano Sud) e il nuovo ospedale dei Santi Carlo e Paolo (il polo ospedaliero da 500 milioni di euro frutto della fusione tra San Carlo e San Paolo). Si parla di investimenti immobiliari per 20 miliardi di euro, che sembrano tanti ma a conti fatti è il giro d’affari della moda milanese in un solo anno. Tutto molto bello. Ma chi sborserà i soldi necessari? Per questi progetti, in maggioranza saranno investimenti privati che arriveranno dall’estero.

Negli investimenti per la riqualificazione, poi, bisogna aggiungere altro. Dai megastore prossimi venturi di Starbucks e Apple in pieno centro ai 365 milioni messi sul piatto dalla giunta Sala per la città multicentrica, da dividere fra Qt8-Gallaratese, via Padova con il quartiere emergente di NoLO (North of Loreto), Corvetto-Porto di mare, Giambellino-Lorenteggio, Niguarda-Bovisa. Cinque macroprogetti strategici e a forte vocazione sociale.

Milano ipoteca il suo futuro per convincere gli investitori. Tra questi, gli australiani di Landlease, multinazionale delle infrastrutture con sede a Sydney, che ha bloccato i suoi investimenti qui per i prossimi 99 anni, quanti durerà la concessione per l’area ex Expo, ottenuta sborsando 2 miliardi di euro ad Arexpo, la società a partecipazione pubblica proprietaria dei terreni. E altri 2 miliardi di euro sono gli investimenti che il colosso australiano dovrà affrontare per realizzare le opere. E che opere! Il masterplan vincitore, di Carlo Ratti Associati, prevede, attorno al Decumano della vecchia Expo, il primo quartiere al mondo dove le auto si guideranno da sole. E tutti gli edifici, anche quelli privati, avranno al piano terra spazi aperti per tutti, tra laboratori, coworking, orti e giardini, in un contesto green pianificato da Andreas Kipar, architetto del paesaggio. Una cittadella del futuro a impatto zero, su una superficie di un milione di metri quadri di cui quasi la metà a verde: 105 000 metri quadrati di parco lungo il Decumano, 70 000 per lo sport, un orto botanico da 23 000, il parco del cibo e della salute su altri 60 000, e infine 200 000 metri quadri per un grande parco tematico che guarda a tutta la città metropolitana.

Nascerà qui anche Human Technopole, centro di ricerca biomedica da un miliardo e mezzo di euro (v. riquadro), mentre il trasferimento del Campus della Statale costerà tra 380 milioni e altri 25 milioni il nuovo ospedale Galeazzi. Per l’ad di Arexpo, Giuseppe Bonomi, questo è “il” progetto, quello che da solo esprime la visione per il futuro di Milano.

Lotta all’inquinamento

Fin qui, gli scenari di domani. Il presente, invece, sono i 54 cantieri della nuova metropolitana M4 disseminati in città tra i disagi dei residenti (le loro case però si rivaluteranno fino al 20%, in media 20 000 euro ciascuna, secondo Andrea Lacamita di Homepal) e il malumore dei commercianti. Milano è stata la prima città italiana ad avere una rete metropolitana Alla quale si aggiungeranno, a tappe, i 15 km della “linea blu”, con vetture senza conducente, per collegare la periferia ovest all’aeroporto di Linate, a est, attraversando il centro storico. Un treno ogni 90 secondi e 21 stazioni promettono di togliere dalle strade  30 milioni di passaggi auto l’anno e ridurre del 2% l’inquinamento, proiettando il capoluogo lombardo al sesto posto in Europa per estensione delle linee sotterranee. Milano potrebbe essere, se i piani sulla mobilità a lungo termine andranno in porto, la prima metropoli italiana a mandare in pensione il trasporto urbano privato.

«La M4 sta attirando grande interesse» dice Fabio Terragni, presidente di M4 Spa, la società mista pubblico-privata concessionaria per la progettazione, la realizzazione e la gestione dell’opera da 2 miliardi di euro. «E grazie alla Blu saranno valorizzati nuovi quartieri». Dall’Idroscalo, che diventerà città dello sport, al mega-mall che il colosso australiano Westfield vuole aprire a Segrate, “il più grande d’Europa”, dicono a Sydney.

L’estensione della mobilità veloce e la riqualificazione delle grandi aree porteranno due tipi di vantaggi: un aumento della qualità della vita e una risalita dei prezzi degli immobili. Secondo una ricerca internazionale realizzata da Cbre e dallo studio di architettura Ghel, nella sola area intorno a Porta Nuova, da quando sono cominciati i lavori nel 2010 a oggi, le abitazioni valgono in media il 150% in più e gli affitti sono saliti del 23%, mentre nel resto della città scendevano del 10%. Lo stesso discorso vale per gli uffici: i prezzi sono più alti del 46% nelle immediate vicinanze degli undici grattacieli terminati. Per chi volesse investire si tratta di tenere d’occhio le zone che oggi hanno valori bassi ma che saranno interessate dai grandi progetti di riqualificazione. La zona che varrà di più? Sarà anche quella più smart: cioè quella da cui siamo partiti, il distretto a impatto zero di Porta Romana, con i suoi lampioni intelligenti.

di Andrea Nicoletti (da The Good Life Cities - Febbraio 26th, 2018)

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