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Intervista-Confronto tra Italo FERRARO e Maurizio ZANARDI (by Mario Mangone)

Intervista-Confronto tra

Italo FERRARO e Maurizio ZANARDI

21 Ottobre 2008-Napoli

 

Italo FERRARO

Sono autore di un’opera su Napoli,  che è in corso, nonostante abbia già prodotto  numerose fasi della sua attuazione, che si è manifestato in volumi regolarmente in commercio. Sono già usciti cinque volumi, un sesto uscirà tra poco e se ne prevedono ulteriori  quattro  o  cinque volumi. Come è evidente da questa premessa, quest’opera divide la città in “parti” e naturalmente  ha una ipotesi di lavoro, per cui questo è possibile, cioè che la città sia fatta di parti e che queste parti possono essere trattate come dei fatti conoscibili in quanto tali e non sono  solo come parti di un tutto. 

 

La cosa più importante che spinge questo lavoro è un’ idea che  la conoscenza di una  città non sia possibile ridurla ad alcuni esempi. Chiunque ha fatto il  turista, chiunque di noi  ha fatto il turista qualche volta, sa che questa è la modalità di una guida per chi non ha tempo e cioè quella di ridurre la città ad alcuni esempi, nel dire guardate che questi  esempi   significano, condensano la città. Ecco l’Atlante non fa questo. Non condensa  la città in alcuni esempi, non fa nemmeno il contrario a dir la verità , nel senso che non parte da una posizione ideologica attraverso cui dico “…ora vi faccio vedere che esistono cose strane e straordinarie che voi non conoscete…” No, semplicemente assume la posizione di guardare tutto quello che c’è, vale a dire, di   “sospendere il giudizio” e soprattutto “sospendere il pre-giudizio” che è una  questione e non l’unica che fa di questo Atlante a Napoli qualcosa che doveva essere fatto. L’Atlante non è metodo. Voglio dire non è una indicazione per fare un Atlante a Milano, un’altro a Genova e via dicendo. Si possono fare naturalmente, non voglio dire che non si debbano fare, però c’è da dire che Napoli ha una caratteristica e quindi non è un caso che l’Atlante nasca a Napoli. La caratteristica di Napoli è che conserva tutti i tempi delle sue trasformazioni. Ad esempio Roma è una straordinaria città, Milano è un’altra straordinaria città, altrettanto Parigi, quindi noi non ci poniamo di fronte alle città facendo una lista in ordine di importanza,  diciamo però che per esempio Roma o per esempio Parigi sono città fortissimamente trasformate nel corso degli ultimi due secoli e che questo quindi non rende adatte alla compilazione di un Atlante che ha al centro della sua elaborazione pone la stratificazione e la possibilità di vedere ed incontrare dentro la città e dentro le opere tutti i tempi dell’evoluzione della città.

 

Un’altra questione che indicherei come importante e che l’Atlante si occupa della città e quindi non studia le architetture, che si ritrovano nella città indipendentemente dalla città per questo è organizzato in senso territoriale. L’Atlante non studia l’urbanistica del cinquecento o del seicento e settecento, bensì volume per volume, fasi di ricerca per fasi di ricerca, la Sanità, i Vergini, i Quartieri Spagnoli, il Centro Antico e via dicendo e quindi studia come struttura territoriale appunto una parte della città. Le parti tra di loro non si equivalgono, a parte le possibili battute che il “ragù” del Vomero è diverso da quello di Capodichino è del tutto vero che la particolarità strutturale delle parti urbane è riconoscibile. Sono riconoscibili l’internità della Sanità, la spericolata apertura spaziale di Capodimonte, la riconoscibilità geometrica dello sguardo possibile dei quartieri Spagnoli, quindi c’è sempre qualcosa che nelle parti della città la caratterizzi.

Certo se approfondiamo questo potrà valere   su tanti altri aspetti della vita di una città. Perché quando noi diciamo “città” diciamo una cosa molto generica. Io quando dico città dico “forma” della città però sappiamo benissimo che usiamo questo termine per significare moltissime altre cose. Ecco una città è studiabile da moltissimi altri punti di vista. Io propongo con l’Atlante di restringere lo studio della città ad uno specifico punto di vista e di fare con questo un’opera di grande onestà culturale, che permette il dialogo con chi adotta punti di vista differenti, fondati naturalmente, non opinioni,  non pareri, non desideri, non “politica”, non per un pregiudizio questa volta per la politica, ma soprattutto che in prima istanza ci si confronti non sul progetto. Questa posizione di portare avanti lo studio della città di Napoli dal punto di vista di quello che “è”. Questa distanza dal progetto non significa affatto una mancanza di passione nei confronti del progetto, è proprio il contrario. E’ la consapevolezza che una città in generale e Napoli, come specifica città, si sono sempre trasformate, mette al centro della questione del progetto come una questione di tale importanza da non potersi consumare nelle “opinioni infondate”.  C’è una legge di cui ho sentito spesso parlare, che mi è particolarmente simpatica e riguarda la pesca. Pare che ogni tanto la pesca si debba interrompere per far rigenerare i fondali, si interrompe per qualche tempo, poi si riprende. Quindi questa interruzione è evidentemente fatta al fine di pescare meglio: Ecco in fondo l’Atlante vuole utilizzare un “tempo” di sospensione utilmente cercando di portare al confronto, il più fondato possibile, una pietra che sia solida.

 

Maurizio ZANARDI

Io mi occupo di filosofia e sono anche editore, o meglio partecipo di un collettivo di intellettuali che ha fondato una casa editrice che si chiama Cronopio, che alla città di Napoli ha dedicato tre libri, “La città porosa”, “Le lingue di Napoli” ed ultimamente con un titolo particolarmente significativo “Aporie napoletane”. Quindi diciamo che dalla “porosità” dal passaggio, che W. Benjamin affrontò a Napoli ed alla sua forma, come diceva prima Ferraro, invece al blocco all’”aporia” alla difficoltà degli scambi della circolazione, anche delle idee in questa città.

Io sono molto d’accordo su questa idea di  studiare le “parti” di Napoli,  non so se si può dire che in fondo le parti di Napoli, la partizione della città senza voler, e sono d’accordo anche su questo punto, che bisogna interrompere i pregiudizi, sia positivi,  che negativi su Napoli, perché è forse giunto il momento di interrompere i pregiudizi. Quindi credo che una discussione sulla città, una discussione “realistica” sulla forma della città, sul reale di Napoli, come effettivamente questa città è fatta,  interrompendo i pregiudizi ottimistici o pessimistici sulla città sia il lavoro preliminare da fare. Che oggi una parola seria, intellettuale è quella dell’interruzione dei pregiudizi, sia sui miti dell’eccezionalità della città, sia sui miti della necessità di modernizzarla, proprio andarla a studiare per come è fatta nelle sue parti. Penso che qui potremmo trovare , se non l’eccezionalità di Napoli, fin troppo esibita e retoricamente detta, anche in europa e nel mondo ed anche dal politico che ci governa, dai politici che ci hanno governato. Questa eccezionalità di Napoli viene ridotta ad una specie di fondale per le avventure del politico. Fondale spettacolare o luogo su cui investire cinicamente per ottenere del consenso a livello internazionale. Anche questo sarebbe interessante capire come questa città, negli ultimi anni è stata sfruttata come una sorta di grande pubblicità del politico, pubblicità internazionale, quindi come una sorta di fondale ed ho l’impressione che questo sia un grande problema per  Napoli oggi. Comunque per ritornare al discorso che si faceva prima, io ho l’impressione che se noi studiassimo le parti e le relazioni fra le parti di questa città forse avremmo la possibilità di fare un discorso, dice Ferraro fondato, funziona secondo me questo termine. Cioè nel senso che si attinge alla forma della città. Ora se c’è una singolarità di Napoli, più che una sua, ripeto, eccezionalità, credo si possa dire che ogni parte ripete in qualche modo ad una legge di questa città che Ferraro ha detto essere la stratificazione dei piani e dei tempi della sua trasformazione. Questo è vero per una parte della città, perché noi sappiamo che se si deve parlare di  Napoli, noi abbiamo tutto il problema della dilatazione della città ed il fatto che i confini di Napoli non credo siano facilmente definibili. Per cui noi abbiamo da una parte una città propriamente tale o più antica che è composta secondo una legge per cui  nelle parti e per parti risuona la medesima legge, cioè la legge della stratificazione e della compresenza dei piani che è la ragione per cui W. Benjamin la definì la “città porosa”, con tutto il significato importante che questo termine comporta. Cioè una città che si decompone e si rifà in qualche modo. Benjamin parlava di una sorta di cadavere esteso. Qualcuno su questa metafora del cadavere, penso a Cesare De Seta, sia la dimostrazione che Napoli è destinata alla morte e che in fondo Benjamin vedeva nella porosità l’elemento negativo della città. E’ una lettura sbagliata. Benjamin vedeva nella porosità e nel decomporsi della città, una forza della città, cioè il fatto che anche nelle sue morti e nelle sue decomposizioni, in qualche modo, questa città rilanciava il problema della sua identità. Cioè era capace di morire nel decomporsi. Questo sarebbe un problema enorme. Però se questa è una legge di una città fatta di parti che ripetono in ogni parte la legge della stratificazione e delle sue compresenze e pur vero che noi abbiamo una enorme diffusione dell’area metropolitana in cui questa legge non  si presenta, perché noi non abbiamo questa stratificazione dei tempi della sua trasformazione ed allora uno dei grandi problemi forse sarebbe, secondo me (e potrebbe essere anche l’avvenire di Napoli, come pensare nell’epoca attuale nel presente di una città così  dilatata, credo ormai non solo arrivi a Caserta, ma con l’Alta Velocità, Napoli–Roma creeranno sempre di più un “continuum”), la questione dell’Alta Velocità è anche il segno di un qualcosa che mette insieme  saperi,  professioni, viaggi, spostamenti tali per cui si crea una sorta di “continuum” tra Napoli e Roma ,ecco come pensare una porosità oggi, cioè come fare in modo che questa, che è stata una legge della città storica, se così possiamo dire, possa essere ripresa per la  metropoli nel suo insieme, cioè che significherebbe riprendere la natura di Napoli nella sua area metropolitana. Penso questo sarebbe un compito immenso, enorme, di cui quasi non si ha segno. A volte penso che anche la questione della camorra, che è un dominio sul territorio blindato, in qualche modo, penso che la vera risposta e lo penso da filosofo, che la questione della porosità andrebbe visto come avvenire, non come passato. Questo sarebbe il vero modo per abbattere, per sconfiggere con un lunghissimo lavoro intellettuale e pratico, che non è cosa che si possa fare in breve tempo, il governo criminale e dico una cosa che forse può risultare eccessivo, che ha qualcosa in comune con il governo politico, perché sia il governo politico, sia il governo criminale del territorio, a parte le differenze assolute che vanno fatte fra questi due termini, hanno avuto in questi anni una caratteristica nettamente “antiporosa” e pur vero che dalle parti del governo territoriale del governo criminale si irradiano dei flussi che vanno anche a toccare altre parti della città, ma non sono flussi virtuosi, sono flussi rapaci, flessuosi che non muovono da parti della città verso altre parti. In qualche modo anche il politico ha agito così. Se uno ragiona sul modo con cui si è agito in questi anni, Napoli è stata pensata ed esibita, nota che parti della città sono stati al centro risuonavano continuamente, quando si è trattato di intervenire su altre parti della città, spesso il risultato è stato paroddistico penso alla difficoltà addirittura di far cadere le Vele di Secondigliano , dove un politico impotente assiste alla difficoltà di eliminare, disfare parti della città, come se  là ci fosse stata la rivelazione che gli unici punti su cui si riusciva ad intervenire erano punti, direbbe appunto Ferraro dell’opinione su Napoli. Palazzo Reale tutto l’insieme della ripartizione della città  sia stata in qualche modo dimenticata per rendere visibili solo alcuni spezzoni della città, anche in forma di decoro urbano e rilanciarla come fondale. Napoli è stata una delle città più berlusconiane d’Italia, nel senso che ha avuto proprio come segno l’alleanza tra Bassolino e Berlusconi, un’alleanza chiara all’inizio, ma anche culturalmente, cioè Napoli è stata esibita nel G7 come appunto il fondale della politica internazionale. Ricordo che Piazza Garibaldi, luogo straordinario da studiare nella città, in  questa fase fu messa da parte, furono tolte le presenze degli stranieri, oscuramento di quelle presenze, perché chi veniva in città non doveva incontrare quello che invece è una parte fondamentale di una parte della città.

Per concludere io ho l’impressione che uno dei compiti per questa città ed anche per il suo stare al mondo potrebbe essere quello di riprendere quello che questa città “è”, avrebbe detto Nietzsche “…diventare quel che si è…” un progetto per Napoli sarebbe quello di diventare quello che Napoli è, ma diventare quello che Napoli è, è  una impresa enorme perché si tratta di ripensare la sua porosità oggi, la sua dilatazione nella città. Come fare in modo che le parti della città , vibrino, abbiano un rapporto di vibrazione tra di loro o di ibridazione in qualche modo e che non si chiudano , come succede in tutte le città e le metropoli del mondo e che non si chiudano in parti che non possono comunicare, parti mute od intellettualmente prive di forza, Io una cosa che penso e che tutti riconoscono a Napoli è una grande vivacità intellettuale, nei campi più vari dalla musica, alla letteratura, alla filosofia, all’architettura, c’è in questa città una vivacità notevole, c’è anche un dialogo sotterraneo tra molte discipline, ma non riesce mai a diventare uno spazio collettivo di alleanze. A Napoli le alleanze sono difficilissime  e questo secondo me è uno dei grandi problemi politici, perchè non si potrà risolvere che per via politica, non per via del politico, che non è assolutamente interessato a che questa alleanza si crei, abbiamo capito ormai che il politico lavora come per questa città non è in grado di metter in relazione le sue parti o di farne risuonare le sue stratificazioni, perché ovviamente è dominato dalla preoccupazione dalla comunicazione e pubblicità e quest’ultime  non possono far risuonare la complessità delle parti, io penso che invece sarà un problema che si risolverà solo per via politica e cioè significa se soggettivamente si è in grado di realizzare questa alleanza è il fatto che c’è una enorme intelligenza collettiva, diffusa in questa città,  ma non c’è un’alleanza politica tra questi saperi, che avrebbero molto da dire e l’Atlante è un esempio secondo me, esemplare, avrebbero molto da dire, ma non riescono ad allearsi con altri saperi per produrre una intelligenza collettiva di questa città all’altezza delle sue trasformazioni che sono talmente evidenti.  Forse da questo punto di vista sostenendo con ogni forza un lavoro come quello di Saviano, forse si potrebbe spostare il discorso su Napoli, da Gomorra alla città, alla sua forma, alle sue potenzialità ed ai suoi problemi urbanistici.

 

Italo FERRARO

Certamente dai temi toccati da Zanardi, il tema che risulta centrale è il tema del territorio. Prima di tutto vorrei fare una riflessione un po’ accademica ed è che la gran parte dei palazzi napoletani , a partire dal ‘400, dal ‘500, hanno sempre nomi di piccoli centri che interssano il nostro territorio, perché quel medesimo barone, principe e via dicendo aveva prima di tutto la sua casa altrove o era il principe di Brienza od il Duca Cavaniglia nel beneventano e questa relazione tra dentro e fuori della città storica è un tema che si è sviluppato con gli aragonesi, nel viceregno e poi ha preso naturalmente pieghe diverse, Se guardiamo dall’alto il territorio del casertano vedremo che sotto i campi coltivati c’è la centuriazione, quindi c’è un equivalente dei cardini e decumani nel centro antico di Napoli a livello territoriale,  per cui a volerlo guardare nel modo positivo c’è una stratificazione territoriale legata a questo.

Io vedo la questione della modernità perché la questione della stratificazione territoriale e del territorio, la questione si misura con il dibattito sulla modernità. Io ricordo un convegno che si fece a Torino un bel po’ di anni fa ed era condotto da Saverio Vertone che prese titolo “Com’è bella la città”, parteciparono tantissime persone importanti ed una delle questioni dibattute in questo convegno fu la questione della città socialdemocratica e mi ricordo che qualcuno a cui ero molto simpatico, Aldo Rossi che era un architetto milanese, purtroppo scomparso, certo si diceva le città socialdemocratiche sono una cosa importantissima, le nostre città sarebbero molto meglio se funzionassero i mezzi pubblici, se le strade fossero pulite e via dicendo, però la questione della bellezza della città non c’entra con la città socialdemocratica, ovverossia non è che non va d’accordo con la città socialdemocratica, però non coincide con la città social democratica.

Nei tempi più recenti che cosa ha significato nelle forme più visibili la modernità della città, ha significato per me qualcosa che ha pari peso dentro la città la questione dei trasporti perché è l’unica ad aver preso realmente una forma e la stessa forma in tutto il territorio, le grandi metropolitane che hanno avvicinato enormemente zone molto distanti, e che hanno provocato per quello che si legge sui giornali anche molti conflitti, ad esempio gli abitanti del Vomero, che non volevano legarsi con tanta faciltà al loro territorio. Ma tutto ciò è importantissimo perché da anni noi vediamo una storia di Napoli che è scritta, dicendo che l’architettura dl primo novecento che si è fatta a Chiaia è veramente decisiva, invece è una architettura totalmente insignificante, solo certi interessi di parte degli storici hanno portato fuori questo e scelto come la parte di città da far abitare alla borghesia, come la parte bella. Non è vero. Chiaia ha le sue bellezze, come le hanno altre parti della città, ma c’è una questione di questo genere e c’è a livello territoriale perché noi abbiamo straordinarie situazioni, prendiamo tra Caserta Vecchia e la Reggia, ma ci sono realtà di architetture del tempo aragonese, durazzesca in situazioni della Campania, per cui   Napoli è veramente città-regione, forse è città-mondo come città-regione, perché chi è il napoletano, quanti dicono io sono napoletano, sono una quantità di gente fino a ricoprire   tutta la regione.

Io girando per Napoli non potrei dire con più passione, se sono stato ricevuto con più passione, con più ospitalità dalla principessa Ruffo di Castel Cicala, dove ho scoperto dei disegni del Palazzo di Via Foria assolutamente impensabili, appesi in un vano a piano terra in una  sua villa a San Giovani, oppure dai popolani della Sanità, quelli che mi hanno fatto salire sui tetti delle case e gettare lo sguardo su panorami straordinari e che nessuno riesce a vedere senza l’ospitalità degli altri. Quindi Napoli è una città in cui i pregiudizi  almeno in certi segmenti, sono di fatto assopiti , non dico eliminati, ma assopiti . Che significa che in certi contesti territoriali è una condizione culturale di base. Poco so della camorra , voglio dire che forse la signora fosse una affiliata, mi fermo alla questione della sua gentilezza e può darsi che anche qualche nobildonna sia affiliata, non vorrei esprimere un pregiudizio, ma c’è qualcosa nella città che la illumina, la rende, ecco non so se è una metafora della porosità, la rende mescolata, irriconoscibile in parti ferme. Napoli è la negazione dell’idea dell’equilibrio. Napoli è una città in movimento. Ho pensato qualcosa sulla metafora del cadavere di Benjamin. Secondo me Benjamin  in quel caso pensava al quadro di Rembrandt (Lezione di anatomia del Dottor Tulp), il morto non era che la metafora dell’oggetto di studio e dell’ideale di ogni studioso. Da questo punto di vista Napoli è l’ideale di ogni studioso, ma anche il contrario, perché Napoli non sta mai ferma, invece il quadro di Rembrandt voleva dire proprio questo e cioè che  l’ideale dello studioso è che il corpo sia fermo.

 

M. ZANARDI

Ricollegandomi alle cose che diceva FERRARO prima, mi vado convincendo sempre di più che forse, noi però, assistiamo ad un passaggio della dinamica anche di composizione e ricomposizione della città, oggi credo invece ad una staticità della città, per cui ho l’impressione che veramente questa questione della porosità, che io ho sollevato ed a cui io sono particolarmente affezionato, però io la vedo effettivamente come un progetto. Mi chiedo, ma insomma in fondo questo è il problema di tutte le città e delle metropoli oggi, come diventare porose, cioè come fare in modo che lo sviluppo delle città non costruisca,  anche nelle ideologie sulla sicurezza, che ormai è sempre più forte e della paura, non costituisca dei perimetri, come dire, privi di passaggi. Allora, io ho l’impressione che Napoli in questa fase, in questi ultimi anni abbia perduto, in parte naturalmente, perché c’è scritto nella sua forma e quest’ultima non si può distruggere da un giorno all’altro, questa cultura della porosità e credo che essa  se volesse   essere presa deve trasformare la città.Questo è un punto. Si può riprendere il tema della porosità senza trasformarla? Senza grandi trasformazioni? Perché se noi pensiamo a tutto il rapporto tra Napoli e Caserta, insomma a tutto questo territorio, ma si può rilanciare questa porosità senza trasformazioni urbanistiche? Decentrando anche l’intelletto generale, lo avrebbe chiamato funzioni culturali, intellettuali, artistiche, cioè a volte io mi chiedo ma com’è che non si pensa di fare un museo un palazzotto dello sport o della musica negli snodi tra parti del territorio, perché non si ama creare anche nei vuoti, in questo addensamento terribile della città, che rende difficile la porosità. L’amore per il vuoto per creare delle forme o degli spazi vuoti o degli spazi di circolazione, che non siano come diceva Ferraro , risolti dalla questione dei trasporti che già dicono che c’è una rete , ma perché non valorizzare anche intellettualmente parti del territorio metropolitano, perché i musei devono stare tutti a Napoli, perché l’addensamento delle funzioni deve avvenire tutto sulla città. Io ho l’impressione che la porosità si è fermata, che la cultura della porosità è una cosa che  non c’è, non c’è stata. Io sempre avuto l’idea che in fondo un politico della trasformazione,  che avesse amato la trasformazione, oggi abbiamo capito che il politico la trasformazione non la ama, ma gli conviene mantenere il sistema di potere e di controllo delle parti e quindi ritorniamo sempre alle questione delle parti. Però sono convinto se si riprenderà il tema della porosità Napoli dovrà diventare un “luogo di sperimentazione della trasformazione urbana”. Quando anni fa mi capitò di essere sciaguratamente, per mia responsabilità nominato tra i saggi che dovevano affiancare l’allora Sindaco di Napoli (A. Bassolino ndr) per pensare una nuova politica culturale, io alla terza riunione abbandonai naturalmente, perché capii che non era interessato il politico di allora, mi venne  da dire ma perché non facciamo di Napoli un luogo della riflessione internazionale sulle trasformazioni urbane, cioè fare di Napoli un luogo di pensiero.  Lo chiesi al politico di allora e chiaro che oggi è ancor più un’illusione, mentre questo lo dobbiamo fare noi. Ad esempio Napoli  non potrebbe stare come città-mondo nel senso che diventa un luogo di pensiero sulla città? Un luogo a Napoli che pensa la città e dico che la città-mondo non è la città della globalizzazione, significa pensare alla differenza che passa tra globalizzazione, tra globo e mondo, che non sono la stessa cosa e qui faccio una battuta cioè significa pensare ciò che  sta fuori della globalizzazione, perché il mondo è molto più ampio della globalizzazione, questo è abbastanza ovvio, è chiaro che la globalizzazione è una forma. Da questo punto di vista ho l’impressione che Napoli ad esempio  ha un rapporto con i “resti”, con ciò che resta, con ciò che non è facilmente integrabile, un rapporto antico e straordinario. -ò- ìèè Questo non significa che io voglia fare l’elogio della spazzatura per strada, sto dicendo un’altra cosa, che secondo me è molto seria e cioè il rapporto con i resti, un rapporto non moralistico che ha questa città non da decoro, non decorosa, ma ha avuto un rapporto con quello che resta appunto, con i suoi flussi, con i suoi cadaveri, con i suoi scheletri, che hanno fatto parte dello spazio pubblico. C’è un filosofo Zizek, e chiudo con questo che è anche uno psicoanalista, guardate i bagni   e guardate il rapporto di come sono costruiti, cosa lasciano vedere dei nostri resti e c’è il modo di costruirlo alla francese, all’americana e via dicendo. Sembra una banalità, invece credo che ciò sia di straordinaria importanza, questo rapporto con i resti che entrano nello spazio pubblico. Allora  usando banalmente questo esempio , una città-mondo è anche il rapporto con ciò che resta,  fuori del calcolo della globalizzazione e fuori dell’economia della globalizzazione, questa è una città-mondo. Allora Napoli per sua tradizione avrebbe la possibilità di ricoprire questo ruolo.

 

Italo FERRARO

Sono davvero entusiasta delle ultime battute di ZANARDI, perché anche con un gesto di intelligenza e di bravura personale è stato capace di riassumere tutti i temi di base o principali di cui abbiamo discusso. Quello del tema Mondonapoli soprattutto e colgo l’occasione per ringraziare l’organizzazione di questo incontro, questa prima fase del progetto che sceglie uno slogan efficacissimo,  che centra la questione su come Napoli è un punto di vista per guardare il Mondo, piuttosto della difficile ricerca delle caratteristiche, che ha la città che permettono di esaurire dentro di sé la complessità del mondo, ma ciò è un altro tema. C’è una cosa che volevo qui ripresentare che è proprio dell’Atlante e che si lega molto al proposito espresso da Zanardi   di un discorso puntuale ma non a tema, ma ho sentito nelle sue parole il bisogno di un progetto  per la città. Io in occasioni analoghe, a quelle che ricordava per se Zanardi, di quando sono stato consigliere del Sindaco, espressi la proposta di redigere una nuova “carta della città”, proposta che naturalmente non ebbe seguito. In quell’occasione ricordai però  agli astanti, che il Comune di Napoli aveva grandi meriti in questa direzione perché tra il 1872 ed il 1880 , il Comune di Napoli ha redatto una carta straordinaria in scala 1: 2000, e la redasse prima che ci fossero le grandi trasformazione del Risanamento, dovute ad una particolare congiuntura politica naturalmente economica che si determinò in quella fase. Ora io non vedo alle porte esplicitato una dichiarazione di progetto, mentre avverto una volontà  di progetto nelle parole di Zanardi, in un senso che mi piace, ma sono convinto che ci troviamo in un’epoca di tali trasformazioni che andremo incontro a dei progetti di trasformazione. Quindi l’Atlante tra le sue fasi conclusive ha il progetto editoriale di redigere e pubblicare una carta di tutta la città storica,  in fogli in scala 1:2000, come quella dell’800 che naturalmente era già stata preceduta dalla carta del Duca di Noja,  che è invece settecentesca.Le carte sono strumenti eroici, perchè le parti delle città avvertono di qualcosa che sta per cambiare quindi anche di una morte, non dico di una morte annunciata, ma di qualcosa che è inevitabile, che noi non possiamo evitare. Ecco allora la questione del progetto di oggi e la questione dell’Atlante, tutto sommato si riduce ad un proposito e cioè  cerchiamo di ridurre quanto più possibile l’aspetto soggettivo, per rendere il progetto legittimo, per appunto “fondarlo”, non perchè abbiamo paura dell’aspetto soggettivo, ma temiamo che una spinta soggettiva,come è stato progressivamente nella seconda parte del novecento, prevalga sulla fondatezza del progetto.