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Alla ricerca della città perduta - Napoli 25-26 Ottobre 2018 / Pasquale Belfiore/Italo Ferraro/Nikos Ktenàs

 

Confronto tenutosi presso SALA ACCOGLIENZA-PALAZZO REALE –Napoli

 

Quali strumenti di conoscenza per le realtà urbane contemporanee? L'esempio di “NAPOLI-Atlante della Città Storica”, come occasione di collaborazione e confronto con altre città europee. Iniziamo da Atene e Milano.

 

Ha introdotto  Pasquale Belfiore (Università degli Studi della Campania-Luigi Vanvitelli)

 

Sono intervenuti :

Italo Ferraro   (ideatore e curatore di “NAPOLI-Atlante della Città Storica”   Ed. Oikos)

Nikos Ktenàs  ( Atene-architetto docente al Politecnico di Milano)

Sezione curata in collaborazione con la Comunità Ellenica di Napoli e Campania.

 

Introduce  Pasquale Belfiore

«Questa sera il programma prevede un dibattito a due voci, tra Nikos Ktenàs, uno dei maggiori architetti greci contemporanei, che ci mostrerà alcuni progetti su Atene e non solo, che si dichiara nel modo più esplicito progettista e non storico urbano della città.

L’altro Italo Ferraro, autore dell’enciclopedico e colossale “Atlante della città storica di Napoli” che è giunto al dodicesimo volume.

Breve introduzione.  Tra oggi e domani quest’iniziativa di Mario Mangone vuole riflettere sulla città e sui modi di percepire e usare quest’ultima. Ci verrebbe da dire: ancora a parlare di Napoli? Sappiamo che è una delle realtà urbane più studiate al mondo.

 

La letteratura urbana napoletana storiografica è certamente tra le più cospicue. Napoli ha rappresentato un magistero in tutto il mondo e lo si può affermare senza retorica. La scuola napoletana di storiografia urbana è veramente tra le più autorevoli che noi abbiamo, ma il lavoro di Italo Ferraro è un po’ diverso da questa tradizione, pur essendone comunque figlio. Quando si dice che Napoli  è una delle realtà più studiate nell’ambito dei beni culturali intendiamo che è una delle realtà urbane più narrate e più scritte. Ma certamente non tra quelle più indagate, disegnate, rappresentate e rilevate.

 

La conoscenza della città non deve passare solo attraverso il racconto, a volte letterario,   a volte storico, a volte più immaginifico, a volte più realistico della scena urbana e della storia urbana che abbiamo di fronte. La conoscenza scientifica della realtà urbana passa anche attraverso una misura di questa realtà, e noi qui a Napoli abbiamo dovuto aspettare il 1795 per avere il primo rilievo esatto dopo diciasette secoli e più. Per la struttura urbana poi, si è dovuto aspettare circa un secolo per arrivare al 1884, con  Adolfo Giambarba  e le  42  tavole della cartografia disegnata per il Comune di Napoli, a partire dal 1872, sotto la direzione del professore Federico Schiavoni, su cui è stato fatto il piano di Risanamento.

 

Si avrà poi un intervallo in cui la città non è stata più indagata, né rilevata, né misurata, sino ad arrivare alle moderne cartografie, che naturalmente si avvalgono di sistemi informatici satellitari, e quindi non si ha più tanto il problema della rappresentazione.

Il lavoro di Italo Ferraro rientra in questo lavoro di ricerca scientifica e non solo di narrazione, la città conosciuta anche attraverso le sue misure, attraverso le sue tipologie, attraverso i suoi quartieri, le strade, le piazze, i singoli edifici, le parti dei singoli edifici: c’è l’androne, il cortile, i piani, il piano nobile nel caso dell’edilizia storica.

Quindi è uno dei primi tentativi, se non il primo in assoluto, per una conoscenza scientifica della realtà e senza precedenti nella nostra tradizione letteraria. Abbiamo testi di altissimo rilievo in campo storiografico, che però hanno solamente narrato criticamente con osservazioni di grandissimo spessore speculativo, ma che non ci hanno fatto conoscere il “fisico”, termine che avrebbero utilizzato proprio quegli storiografici settecenteschi, le “misure”.

La domanda che però sorge spontanea, a chi si occupa per mestiere di conoscere la città, ma anche per chi non se ne occupa: ma tanta letteratura, tanta indagine, tanti studi, (domanda forse un po’ elementare) a che servono?

 

Dal punto di vista degli intellettuali, degli storici e dei critici la risposta è semplice: per la conoscenza, una delle finalità e gratitudini più alte più importanti da raggiungere.

Ciò nonostante non si risponde totalmente agli interrogativi. E qui si arriva al “punctum dolens” della questione. Ossia che purtroppo tutta questa conoscenza della città, non è messa, come si direbbe in senso economico, a “reddito”; cioè diventa un libro che va in una biblioteca, oppure diventa un altro libro di testo per gli  studenti, che ne fanno un esame e poi finisce. Quest’ultimi diventando poi architetti, ingegneri, storici, senza applicare quel che hanno letto.

 Il vero problema culturale, di quando si affrontano argomenti come questi, è quello di mettere in pratica lo studio storiografico. Queste competenze acquisite dovrebbero servire per “saper governare la città”.

 

Porto un esempio. Nell’ultima esperienza, insieme a Ugo Carughi, abbiamo censito delle architetture di rilevanti interesse storico e critico, promosso dal Ministero dei Beni Culturali.  E’ un censimento avviato già molti anni fa.  Io insieme al compianto Benedetto Gravagnuolo, rilevammo Napoli e Provincia, indagando queste architetture del secondo ‘900, meritevoli di conservazione. Li fotografammo, li rilevammo, li descrivemmo,  per poi sapere che son rimasti negli archivi della Soprintendenza. Al punto tale che poi alcune di queste opere,  vengono demolite perché il Comune non sa nulla di quello che c’è sul territorio. Infatti cinque anni fa, è stata demolita una delle fabbriche più belle di Luigi Cosenza a Salerno. Tutti sapevamo che quella fabbrica si trovava in tutti i manuali di storia dell’architettura, napoletani e regionali, citata mille volte con una bibliografia impressionante, forse secondo solo all’Olivetti di Pozzuoli. Un giorno vanno lì, demoliscono la fabbrica, per attuare un altro programma industriale e il Comune di Salerno, questa volta senza infingimenti, si meraviglia di aver commesso un delitto contro la cultura. Poiché non ne conosceva l’importanza, nessuno aveva notificato al Comune di Salerno che nel loro territorio c’era una testimonianza meritevole di conservazione.

Chiudo questa riflessione che dovrebbe costituire un messaggio da mandare all’esterno in un’iniziativa come quella organizzata da Mario che mira soprattutto all’interlocuzione di società civili e di commercio, che questa cultura abbia una sua ciclicità, una sua rotazione, che venga portata fuori, che venga notificata.

 

Che la conoscenza dell’Atlante di Italo Ferraro, già in parte patrimonio del Comune di Napoli, venga utilizzata. Perché so che in passato c’è stata un’interlocuzione fruttuosa tra l’immenso materiale documentario di Italo Ferraro e il Comune. Ma vi garantisco che nella mia esperienza di Assessore al Centro Storico,  quando si è fatto il Piano del Centro Storico del Comune di Napoli, di questo materiale non c’era traccia e pur chiedendo nessuno sapeva dove fosse. Quindi un imperativo che dovrebbe guidare le nostre riflessioni,  ossia che nulla si dovrebbe fare e concludere, se non si ha un prolungamento completo sul piano della gestione della tutela, della migliore organizzazione fisica della città. Affianchiamo la storiografia con la materia che possiamo calare nella realtà.

 

Questa introduzione per una riflessione che si dividerà in due temi: uno appunto narrato da Nikos Ktenàs, che ci parlerà della città di Atene, e possiamo capire benissimo che non è una città presa a caso, Napoli ha sempre avuto un rapporto empatico molto forte con la grecità, parliamo sempre della nostra origine prima greca e poi romana. Ci rende molto felici continuare la conversazione con qualcosa che risale a molto prima della stessa fondazione di Parthenope e Neapolis.

Il secondo tema la riflessione di Italo Ferraro sulla sua enciclopedica opera de “L’Atlante sulla città storica di Napoli” che è nata nel 2002, sedici anni fa, tuttora attualissima e che continua con programmi molto aperti ed ambiziosi. Ci regalerà così la narrazione di uno dei documenti culturali più importanti, e lo dico senza enfasi, che abbiamo qui a Napoli.

Grazie e passiamo alla lezione di Nikos Ktenàs.

 

Intervento di Nikos Ktenas  ( integrato con alcuni articoli su Pikionis).

 

Prima di tutto devo ringraziare, per questo invito, il mio amico Mario, con cui abbiamo discusso diverse volte e per diversi anni, attraverso le sue visite in Grecia, che ama molto e devo ringraziarlo per le conoscenze ottenute, per le esperienze consumate in queste poche ore trascorse qui a Napoli. Ora non so cosa posso dare a Voi, perché già Napoli in queste trenta ore che sono qua, mi ha dato tanto. Non mi meraviglio dall’altro lato,

perché non esiste nessun  paese al mondo, dove la storia viene documentata così, viene studiata. E’ chiaro che in Italia, su questa penisola,  c’è una concentrazione incredibile di storia, forse la più concentrata del mondo, però l’Italia in generale, storicamente è un paese che veramente documenta. Non esistono altri paesi, anche in europa, noi che facciamo parte di questa cultura europea, che amo tantissimo, perchè in ogni angolo, in ogni città che visito  io imparo. Un grande parte della mia educazione è dovuta a Voi. Quindi ho un grande rispetto della Vostra storia.

 

Dall’altro lato l’insegnamento che faccio in Italia, devo dire egoisticamente lo faccio per imparare, più che insegnare, la mia realtà è questa, devo essere onesto. Allora però c’è una grandissima differenza, tra la storia concentrata in Italia e la storia concentrata in una città greca, come Atene. Noi, questo lo faccio come preambolo, alla mia presentazione nel mio intervento, non ci saranno tanti progetti, sarà piuttosto un piccolo viaggio, abbastanza breve lungo la storia di questa città, poi alla fine vi mostrerò qualche pensiero progettuale, sia mio che dei miei studenti. Appunto dicevo che in una città come Atene non si può paragonarla con una città come Napoli, dal punto di vista storico, noi non abbiamo vissuto il Rinascimento, non abbiamo vissuto tutto questo percorso, storico, creativo, che avete avuto voi in Italia, perché la Grecia dopo il suo periodo più significativo, diciamo dopo il suo periodo classico, ci sono state una serie di occupazioni, il periodo più fruttuoso, se si può dire così, dal Rinascimento fino al XVIII secolo, che poi è la realtà di questa città, ad Atene non esiste. C’è una grande differenza. Noi viviamo in una città dove c’è una  netta contrapposizione tra l’antichità e la contemporaneità. C’è un salto storico, che secondo me è anche interessante, però è così. Poi la classicità, la storia noi la viviamo così, perché, ne parlavamo proprio questa mattina, che qui a Napoli la Grecia quasi non si vede  perché è sotto, si vedono tante altre cose: dentro gli edifici, le loro modificazioni, tutte le trasformazioni che hanno subito lungo la loro storia.  Invece in Grecia non è così, quello che è sotto, lo vediamo, conviviamo con quello, sono dei pezzi di città e queste rappresentano, diciamo per me,  lo spazio più interessante nella nostra città di Atene, perché questo dialogo con l’antichità, con 2.500 anni dietro, è un elemento del nostro spazio comune, del nostro spazio pubblico. Per il resto, sopra si vedono le strade, la città stratificata, però lì c’è la modernità, con alcune parti interessanti, altre no, perché sappiamo tutti,  come architetti che veniamo sempre martellati, di accuse che abbiamo  distrutto o distruggiamo le nostre città, ma la gente non sa che la maggior parte delle città non sono state eseguite dagli architetti, ma da altre  persone che non hanno queste conoscenze.

 

Un altro tema quello della contraddizione, di cui si discuteva questa mattina, questo è interessante. Infatti nella contraddizione trovo sempre questo dialogo che ci dà la possibilità per capire cosa dobbiamo fare per proiettare queste città verso l’avvenire. Questo è un tema secondo me, comune, di questa città, perché l’opera di Italo Ferraro non deve essere vista in modo statico, una semplice catalogazione. Se viene visto da un architetto creativo, si vede come quest’analisi  può essere usata per proiettare la città verso il futuro. E’ lì che nasce il punto comune, almeno per le nostre due città: Napoli ed Atene. Ora voglio fare  insieme a voi un percorso,  non così lungo, ma attraverso questa creazione, sul come è nata Atene.  Poi propongo una discussione su quello che secondo me manca in una città come Atene in questo momento, che è una cultura urbana, in cui manca lo spazio urbano, a differenza di voi a Napoli, che ne avete in abbondanza, anche in Italia, ma soprattutto a Napoli, che è una città meravigliosa. Io sono molto contento e ringrazio ancora una volta per essere venuto qui a Napoli, perché è fantastica. Allora!!!

 

Inizio con un’immagine emblematica della realtà greca, almeno degli ultimi anni. Questa è una scena del film di Jules Dassin (regista ed interprete nel film, con il personaggio Omero Thrace, che giunge al porto del Pireo dal Connecticut per studiare l’arte e la filosofia dell’Antica Grecia) e  con Melina Mercouri (nel film interpreta una prostituta, Ilya, premiata per la migliore interpretazione femminile al 13° Festival di Cannes 1960 ), dal titolo “Mai di Domenica” (premio Oscar per la migliore canzone 1961).  Ilya, che abitava al Pireo, era una prostituta e la domenica non lavorava mai, perché di Domenica giocava la sua squadra di calcio ed usciva spesso con i suoi amici clienti, quindi non poteva lavorare e poi doveva seguire la sua squadra. Allora appare nella sua vita, perché in Grecia ci sono sempre queste figure, questi visitatori, fotografi, pittori ecc., come nella Grecia di oggi, arrivano questi personaggi, come Jules Dassin (Omero),  che s’innamora di questa prostituta e le dice: “…senti io ti devo parlare, io che amo la Grecia classica sono costretto a portarti in luogo importante, ma mi porti Tu, non lo facciamo sul Pireo o nel porto, dobbiamo andare in un posto importante…”. Allora lei lo porta sull’Acropoli e lui essendo una persona molto intelligente, la segue e poi si mette e le dice “…scusa, qui che mi hai portato Tu che mi hai portato nella culla della civiltà e della Storia, come puoi comportarti così, come puoi fare questa professione?...”.  Infine non ci  ha cavato nulla

da  questo confronto. Allora ciò cosa vuol dire? L’Acropoli è un monumento, tutti lo conosciamo, qualsiasi forma assumerà Atene, l’Acropoli sarà sempre lì, come   punto di riferimento per  tante persone. Questo è il centro della città, naturalmente l’Acropoli, che provoca molte emozioni,  è stato visitato da tante persone. Questo è il luogo del primo viaggio del giovane Le Corbusier nell’anno 1910-11 circa, lui ci ha messo quasi tre settimane per salire sull’Acropoli, a girargli sempre intorno. Infatti Le Corbusier è troppo emozionato nel confrontarsi con questa perfezione. Quando è andato su ed ha iniziato a fare questi celebri schizzi, insieme alle foto che faceva insieme al suo amico poeta, con cui viaggiava insieme, ha cercato di fare i conti con questa perfezione classica che cercava di capire. Le Corbusier non era un architetto, poi torna negli anni ’30, durante il secondo CIAM, nel 1933, sulla nave  Patris II, che parte da Marsiglia ed arriva fino al Pireo con tante personalità della modernità, pensatori, scrittori, artisti ecc. discutendo sul futuro dell’arte, della sorte città ecc. Le Corbusier in quel periodo era in questo periodo già abbastanza conosciuto, quindi è venuto con un altro spirito, ma nello stesso momento faceva sempre quelle foto, girato di spalle,  rispetto a questa perfezione.

Atene è una città, queste sono una serie di carte che abbiamo sviluppato nell’Accademia di Architettura di Mendrisio, con gli studenti, una decina d’anni fa, sul tema dello sviluppo della città, perché non esiste veramente, un poco astratto. Questa è l’Acropoli, questo è il primo teatro del Mondo, anfiteatro del Dioniso e poi l’agorà greca con tutti questi edifici rossi, quelli che conosciamo oggi. Atene centro è una città che arriva solo dell’entroterra, ora arrivata sino al mare,

Qui siamo nel periodo classico.

 

La vera Grande Atene si forma dopo la seconda guerra mondiale, anche se può considerarsi una realtà, più o meno consolidata già dai primi del ‘900. E’ in ogni caso, solo a partire dalla fine degli anni’40, con il massiccio fenomeno di inurbamento, ancora in atto verso la capitale.

Per poter comprendere la formazione e lo sviluppo della Grande Atene è necessario ricondurre il discorso al grande processo di crescita urbana tra il XIX ed il XX secolo. Sino al 1830, anno in cui la nazione fu dichiarata ufficialmente indipendente, la città di impianto ottomano (il quartiere Plaka ne è testimonianza), era poco più di un villaggio alle pendici dell’Acropoli. Con la creazione del nuovo Stato, si rese necessario un ampliamento della città, adeguato al ruolo ed alle nuove funzioni, che la capitale di un regno necessitava. L’obiettivo non era tanto di sistemare la vecchia città, quanto piuttosto, quello di crearne una nuova, nel rispetto  degli antichi siti archeologici. Dopo aver considerato l’ipotesi di costruire la città tra l’Acropoli ed il Pireo o di prevedere il futuro sviluppo urbano a nord, si decise per la seconda ipotesi.

La prima fase di crescita urbana fu così attuata attraverso piani di sviluppo di chiara impostazione culturale tedesca, basati sull’apertura di grandi viali, piazze a stella, in un contesto architettonico di edifici di stile neoclassico.

Il primo piano di ampliamento fu preparato dagli architetti Schaubert e Kleanthes, nel 1832 e fu concepito su una struttura triangolare, i cui lati formati dalla via dello Stadio ad est e dalla via del Pireo ad ovest si incontravano nel vertice dove era prevista la costruzione  del Palazzo Reale (oggi Piazza Omonia)  e la cui base, la via Hermes, sovrapposta alla città turca, incrociava gli angoli del triangolo ad est, nell’attuale piazza Syntagma ed ad ovest nella zona dello stadio. Il triangolo era attraversato da un monumentale asse nord-sud adornato con piazze e giardini che si riconnetteva al sito proposto per la residenza reale.

Gli urbanisti conservarono un numero molto ristretto di strade della vecchia Atene che circondavano un numero molto ristretto di strade della vecchia Atene che circondavano l’Acropoli. Il piano non ebbe attuazione perché in collisione con gli interessi dei proprietari terrieri, che avevano acquistato aree agricole nella zona dove era previsto il nuovo sviluppo urbano.

Nel 1834, Leo Von Klenze, un architetto bavarese, su incarico del governo, modificò il disegno di   Schaubert - Kleanthes, proponendo un’area di espansione molto più ristretta rispetto alla precedente che lasciava pressocchè inalterato l’impianto triangolare di base. Questa soluzione, se agevolò i proprietari terrieri, fu molto negativa, per il futuro sviluppo della città, che, per interessi dei privati, veniva del tutto bloccato a nord.

 

Tra la fine dell’’800 e l’inizio del ‘900 Atene subisce una notevole espansione, da 42.00 abitanti nel 1864, raggiunge, nel 1900, circa 200.000 abitanti. Il grande processo di crescita urbana si delinea, però, solo a partire dal 1910-1920 e dura sino oltre gli anni ’40.  In questo periodo la città si trasforma radicalmente e cresce in maniera abnorme sia in termini di area che di popolazione. Le ragioni sono dovute, essenzialmente a fattori esterni: la vittoria della Grecia nella guerra dei balcani del 1912-1913, che con l’acquisizione dei nuovi territori portò ad un notevole incremento di popolazione nel paese e l’inaspettato rientro dei profughi greci, dopo il disastro militare in Asia Minore del 1922, con l’occupazione turca di Smirne e la trasformazione della monarchia in repubblica. 

La città crebbe a dismisura, negli anni ’40 espandendosi oltre i limiti dell’area urbanizzata, negli spazi ancora inedificati nelle vicinanze del Pireo, sino ad inglobare molti centri costieri e parte dei rilievi circostanti. E’ in questo periodo che prende il via il processo di formazione della Grande Atene e che si manifestano i primi drammatici effetti: distruzione dei valori ambientali, edificazione selvaggia senza pianificazione e senza tenere conto delle necessarie infrastrutture, segregazione sociale e precari equilibri ecologici. Fu  a partire del 1923, fino al 1930 e proseguendo all’inizio  degli anni ’40 che le diverse generazioni di greci della madrepatria, messi in fuga dalle diverse battaglie sino a quelle della seconda guerra mondiale, dai nazisti e di popolazioni che, a causa della guerra civile tra il 1944 ed il 1949  (anno in cui i comunisti di Niarkos, furono definitivamente sconfitti), nella capitale. Sino ad arrivare poi nel 1981 a 3.016.457 abitanti, circa il 31% dell’intera popolazione greca.

 

Con la liberazione il governo e, per esso, il Ministero per la Ricostruzione, diretto dall’architetto Costantino Doxiadis, nel 1945 approntò un massiccio programma di ricostruzione supportato dall’iniziativa privata, ma il risultato fu l’aumento di congestione, per Atene e la sua Area Metropolitana. Per questo motivo negli anni a seguire il governo provvide a colmare le carenze in materia di pianificazione attraverso l’emanazione di leggi di  riferimento per la redazione dei piai urbanistici. Dalla fine degli anni ’60 molti furono i Plan approntati in Grecia, fra questi quelli di Patrasso, per Chania, per Salonicco, per Atene e la sua Area Metropolitana.

Nel 1975 Costantino Doxiadis ebbe l’incarico per redigere il Piano per la “Capitale del 2000” basato su un ambizioso sviluppo delle attrezzature, servizi, infrastrutture pubbliche, aree di nuova espansione residenziale. Il piano non fu attuato pienamente, ma ha costituito un importante punto di riferimento per la programmazione, la crescita e lo sviluppo dell’area metropolitana di Atene, che negli anni successivi ospita le Olimpiadi (segue proiezione di  progetti ed edifici pubblici legati alle opere necessarie all’organizzazione dei Giochi della XXVIII Olimpiade che si svolsero ad Atene in Grecia dal 13 al 29 agosto 2004).

 

 

Mostro tutto questo per dire che lo spazio pubblico è architettura, non è solo un’opera tecnica. Abbiamo visto prima come ci si collega a questa passeggiata (quella di Dimitris Pikionis *) mentre qui si vede la nostra è eseguita quasi da un piastrellista, non c’è architettura lì. Si vedono i parchi in questo caso assumono un ruolo spettacolare. Allora io penso sia questo quello che manca ad Atene, questo dialogo con la storia, che è molto vicina a noi, che vive con  noi. Mi occupo da circa 15-20 anni, insieme ai miei studenti di fare diverse  ricerche, su diverse parti di Atene per dimostrare oggi, lo sviluppo di diversi pensieri, in una città così importante come Atene.

Il progetto come strumento per capire, questo è il mio motto ed è anche il futuro di Atene. 

 

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In riferimento a Dimitris Pikionis

La pubblicazione dell’articolo su "Interni"

 

“Convinto che la Grecia fosse un ponte tra Oriente ed Occidente, Dimitris Pikionis, architetto moderno nato ad Atene, ha coltivato per tutta la vita, nel suo animo, i germogli di una cultura meticcia attenta alle relazioni nascoste, agli sconfinamenti, al ricorrere, in campi apparentemente lontani tra loro, di cose simili. Non è stato il solo a farlo nel tempo in cui la sua patria cercava di risorgere faticosamente da secoli di declino e occupazioni. Attorno al 1930, artisti, scrittori, poeti hanno perseguito in Grecia il sogno di dar vita ad una cultura nuova, espressione di una modernità che non escludesse il passato, un passato differente da quello falsificato dai luoghi comuni e sbiancato dalle accademie, simile piuttosto ad un territorio fisico e spirituale denso di intrecci e solcato da percorsi. Presenza fondamentale all’interno di questa comunità intellettuale, Pikionis, è attratto dalla pluralità di tradizioni che hanno contribuito a costituire una cultura di eccezionale importanza come quella greca e a plasmare un comune territorio mediterraneo sino a farne la culla e lo sfondo di miti universali. Egli ha incrociato la conoscenza di queste tradizioni con la passione per l’arte moderna che ha avuto modo di conoscere, lui architetto per caso ma nel profondo pittore e poeta, come studente di belle arti a Monaco e poi a Parigi. Cèzanne, Klee, Kandinskij, i pittori dell’avanguardia hanno contribuito così alla sua formazione come il neoclassicismo metafisico di De Chirico, suo estimatore e amico dai tempi dell’università. Dentro la fucina del suo spirito il cubismo si è fuso con l’archeologia, le tecniche costruttive della Grecia interna con l’architettura giapponese,

un paesaggio ormai snaturato, come quello greco del suo tempo, con la capacità dei giardini Zen di evocare significati profondi. Organizzatore culturale con la rivista Il terzo occhio, importatore, tramite questa, in Grecia, dell’arte d’avanguardia europea, professore stimatissimo di intere generazioni di architetti greci, Dimitris Pikionis ha percorso incessantemente i sentieri ramificati che il suo sguardo visionario gli faceva rintracciare nella cultura del suo tempo e ha restituito generosamente a studenti e lettori il frutto delle sue ricerche. Da questo punto di vista la sua opera di ricostruzione culturale è stata ancora più importante di quella svolta nel campo dell’architettura. Sono infatti soprattutto i suoi scritti e i suoi eccezionali disegni a trasmetterci con chiarezza la geografia dei suoi pensieri e l’entità del suo sforzo. Poche volte, invece, ha avuto la possibilità di rendere in un’opera architettonica la complessità delle sue visioni. Una scuola neorazionalista ad Atene, un’altra più tradizionale a Salonicco, alcune raffinate case per amici, pochi frammenti di comunità immaginate e progettate con poeti ed artisti sono la quasi totalità del prodotto del suo lavoro di architetto, prima delle due occasioni della sua vita: il parco dell’Acropoli e il parco giochi di Filothei. Ma anche in questo caso si tratta di progetti marginali, almeno nelle intenzioni dei committenti, affidati ad un architetto già avanti con gli anni a mo’ di tardivo riconoscimento. Sistemazioni apparentemente senza peso: nel primo caso il rifacimento di una pavimentazione e nel secondo il recupero di un terreno di risulta alla periferia di Atene.

 

 

Da "Interni" n. 3 del marzo 2004

 

Ma qui, tra I’Acropoli e il quartiere di Filothei, negli ultimi anni della sua carriera, Dimitris Pikionis lascia due capolavori assoluti in quella disciplina che aveva, in fondo, poco amato. A ben vedere, nel caso di queste opere, non si tratta specificamente di architettura bensì di arte in senso lato. Arte che anticipa temi e relazioni che solo molto più tardi gli artisti europei incominceranno a praticare. Premessa di land-art, adagiata su di un terreno da cui sa spremere significati e simboli. Geniale manipolatrice di spazio e tempo e rappresentazione concreta dei pensieri che da sempre hanno accompagnato l’architetto greco e che finalmente all’età di settant’anni riesce a ricongiungere con quel terreno dall’osservazione del quale hanno tratto origine.

Sotto I’Acropoli, lungo sentieri che sembrano mosaici o incisioni, l’essenzialità dei giardini di rocce giapponesi si sposa con le linee di Klee o di Mondrian e tra gli alberi del parco decine di tracce evocano, ricordano, interpretano un passato complesso usando i lacerti del tempo presente. Le traiettorie che i segni sul terreno tracciano conducono lo sguardo verso i monumenti ed il pensiero verso la ramificata storia di cui questi costituiscono la vetta più alta. Frammenti archeologici si mischiano, nella pavimentazione della chiesa di S. Dimitris Loumbardiaris o nei muri dei sentieri, con pezzi di macerie, lastre di marmo con placche di cemento, sassi con scarti di cava. II paesaggio attico, da molto tempo scomparso nella sua integrità, ritrova vita nelle micro composizioni sparse sul percorso, in alvei ristretti dove il senso dei luoghi si rinnova e i significati originari che sprizzano dalle pietre si confondono con altri, distanti secoli nel tempo reale ma vicini nel gioco analogico che regola il susseguirsi delle forme e delle idee nella storia.

A Filothei sono i sogni dei bimbi, intrecciati con i miti della terra greca, a divenire costruzione e, una volta di più, paesaggio. Non vi è alcun disegno che possa dare testimonianza della logica compositiva perchè qui, ancor più che all’Acropoli, la matita e il tavolo da disegno sono sostituiti dai passi, dagli sguardi e dai ricordi.

Case giapponesi, tukul, fasciame di barche, ponti interrotti, bivacchi appena lasciati, si susseguono nel piccolo appezzamento di terreno una volta oltrepassata una porta di legno che separa nettamente due mondi. Quello comune di un quartiere residenziale posto ai bordi della città e quello fantastico di un recinto dove le percezioni spazio-temporali si dilatano grazie alla capacità poetica di un vecchio maestro.

Cammini di pietra e un recinto di sogni sono dunque il lascito più grande dell’architetto che come i grandi artisti del passato aveva coltivato e plasmato la capacità di dare significato e profondità anche ai segni più lievi”.

* testo di Alberto Ferlenga, fotografie di Daniele De Lonti, pubblicato da "Interni" n. 3 2004.

 

“…arrivai al punto di individuare la tradizione di tutto il mondo come uniforme e rispettosa dei

principi immutabili del tempo. La mia impressione era che dovevo immergermi nella singola e

individuale tradizione del mondo. Già da giovane individuai l’unità universale di questa 

tradizione.. qui volevo immergermi, volevo calarmi nella sua marea, nuotarci come una trota.

Certo non si possono ignorare del tutto le differenze individuali, ma sotto loro è possibile

rilevare una fondamentale dominante. Tra la Fidia, la Persia e la Caria, tra la Cina e l’India c’è

l’unità latente come pure una differenza latente. Fra l’Oriente e l’Occidente, tra il Nord e il

Sud, troviamo differenze, ma anche una mistica identità. Queste qualità di eternità

rappresenta un fatto fondamentale. Le differenze sono immateriali, e l’essenza è data da una

identità profonda e interiore…”

 

 

Interviene Pasquale Belfiore

Ora dopo questa interessante lezione su Atene ci chiediamo interessati se Napoli si sia salvata o forse meritava una progettualità più spinta, un discorso molto lungo e complicato. Perché sicuramente ha mostrato una minore trasformazione rispetto a quello che è avvenuto ad Atene, che le ha consentito di conservare quella stratificazione, che invece,come ci narrava Nikos, ha dei grossi intervalli rispetto alla nostra. Dal periodo delle origini, un medioevo che ha lasciato poche tracce, una parte bizantina che lascia le sue testimonianze, l’impero ottomano che lascia le sue e questa progressione salta di tre quattro secoli volta per volta, una storia sincopata quella di Atene, che si contrappone alla storia più organica e continua della città di Napoli.

Questa polarità che Mario Mangone ci propone con questa iniziativa, Atene da un lato, con la storia che abbiamo sentito, Napoli dall’ altro.  Molto bello in progetto del Museo Archeologico, io ricordavo un progetto di Coletti, sicuramente non scelto alla fine.

 

Interrompe Nikos Ktenàs

Ha vinto quello di Coletti, con un progetto che si impostava come un occhio verso l’Acropoli. Un concorso ad invito dove hanno partecipato architetti come Libeskind, insomma quei nomi di successo del XXI sec., le cosiddette archistar e insomma Coletti ha vinto mostrando sicuramente un progetto con tanti elementi interessanti, ma non rispetta la specificità del luogo.

 

Intervento di Italo Ferraro

Voglio esprimere la soddisfazione di aver conosciuto il nostro amico architetto Nikos Ktenàs, che ci ha dato la straordinaria novità di poter vedere attraverso le sue parole. Mi ha emozionato. È un altro modo di guardare una città che guardo attraverso quello che le manca, così straordinario ogni aspetto che ci ha narrato.

E così anche le occasioni di progettazione ci ripropongono sempre l’intera città. Questo mi fa pensare a Les Corbusier, quando gli chiesero di progettare un lampione per il Salon de Automne e lui progettò una città per 3 milioni di abitanti.

Mi pare che lui abbia un amore diverso nei confronti di questa città, un modo diverso da come noi l’amiamo.  Da parte sua ci è voluto più impegno, più forza d’animo, per trovare le ragioni di questo amore. La passione è vero il problema del nostro tempo, perché l’abbiamo sempre guardata attraverso il luogo comune con cui ci è stato trasmesso, ossia la passione come qualcosa di veloce, transitorio, che una volta passata,  si affloscia.

La passione che ho sentito oggi è una passione ferma,  immobile,  che con passi lenti,  durevoli,  cerca di pareggiare i conti con gli altri. Insomma a me ha molto appassionato.

Sia il sapere cose nuove di Atene, ma anche e soprattutto il racconto. Il racconto di un progettista, che ha bisogno di conoscere la città per non sbagliare.

Stasera posso solo parlare del piacere di averlo conosciuto e così far riuscire questo incontro organizzato da Mario.

 

 

Intervento Nikos Ktenàs

Vorrei aggiungere, che punterei l’interesse sull’iniziare una discussione su che cosa pensare della città.  Mi rendo conto che si ha bisogno quasi sempre di una riduzione formale. C’è troppa informazione, troppe fonti. Non si può pensare e progettare il futuro se non si incalano le informazioni. E lo stesso vale per Atene che per ogni anno che passa, manca sempre più di direzione (o orientamento).

Ho notato ieri che questa esperienza di “Bovio Experience” è un lavoro incredibile. Non è un lavoro di architetto, ma è la sua visione. Che attraverso i suoi strumenti si isola per farne nuovo racconto. Una condizione molto complessa.

Però vorrei trovare lo spazio per discutere del pensiero. Non possiamo parlare negli stessi termini di una città nord europea o centro europea. La nostra geografia ci fa pensare in un certo modo, la nostra zona mediterranea ci fa pensare in altri termini.

Con le nostre conoscenze dovremmo fare un esercizio, dove isoliamo i diversi problemi. A Napoli i problemi sono molto complessi, ad Atene complessi per altri ragioni.

 

Intervento conclusivo di Pasquale Belfiore

Mi rubo solo un minuto, per fare un omaggio all’architettura moderna di Le Corbusier. L’architettura moderna l’ha inventata lui. Nonostante abbiamo tanti maestri: Wright, Gropius, Aalto.. ma l’architettura moderna l’ha inventata Le Corbusier, nelle idee, nella forma, nelle visioni.

Questo è stato possibile perché Le Corbusier ha avuto un imprinting classico.

Quelle fotografie che abbiamo visto oggi, sono di un Le Corbusier di 22 anni, che fa un viaggio in Grecia, misura, fotografa, disegna l’Acropoli. Poi prende la nave viene a Napoli, nell’Ottobre del 1911, permane undici giorni. Di questi undici giorni, sei li passa a Pompei, tre al museo nazionale, dove compra e porta a Parigi tutta la collezione classica delle fotografie di Alinari. A Pompei rileva e disegna tutte le architetture.

L’inventore del funzionalismo. Coglie la potenza dell’arte classica  e ricerca il classico, ricerca la misura, la rappresentazione esatta delle architetture del passato e lo traduce in un linguaggio, in una proposta moderna per l’architettura.

C’è un binomio tra Le Corbusier e queste due città. Lui non cerca la città moderna. Ripeto va a Pompei, passa tre giorni all’archeologico e poi afferma che questo viaggio in oriente sarà la base della sua maturazione di architetto e per questo farà le proposte più innovative, più moderne, che noi abbiamo.

E questo si ricollega alla mia introduzione.

Perché l’”Atlante della città storica di Napoli” è un testo così importante? Perché è la misurazione esatta della realtà, non un racconto opinabile, come invece altri sulla città. È una rappresentazione scientifica e questo ci consentirà in futuro, se si deciderà appunto di considerare queste cose non solo come dei titoli di libri, ma come degli strumenti operativi concreti, di intervenire su questa realtà per gestirla, modificarla, e confermare quell’altissimo tasso di modernità che tutta la  storia della città ha sempre avuto.